L'editoriale

Un piatto di spaghetti conditi di ridicolo

In un’America drammaticamente dilaniata da inconciliabili faziosità e aberranti eccessi di ignoranza era quasi inevitabile che persino gli spaghetti finissero sotto la lente distorta dei savonaroleschi ayatollah del politicamente corretto
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
02.08.2022 06:00

Poteva scamparla la pastasciutta? Nemmeno per sogno. In un’America drammaticamente dilaniata da inconciliabili faziosità e aberranti eccessi di ignoranza era quasi inevitabile che persino gli spaghetti finissero sotto la lente distorta dei savonaroleschi ayatollah del politicamente corretto. Nel cui gotha brilla da qualche giorno la (pare) autorevolissima dottoressa newyorchese Shana Minei Spence, dietologa nutrizionista di acclarata fama che ha pensato bene, in un lungo intervento sulle colonne di «Spence», magazine di salute e bellezza, di sparare a zero sulla dieta mediterranea, insospettabile e occulto simbolo di «colonialismo alimentare» (sic). Ora non è certo da questa dolce terra adagiata sul permeabile confine tra la civiltà del burro e la civiltà dell’olio che è necessario spezzare una lancia in favore di uno stile di vita e di un modello nutrizionale unanimemente riconosciuti tra i più sani e sostenibili tra tutti quelli inventati dagli esseri umani per coniugare sopravvivenza e piaceri della tavola. Eppure anche chi discende da generazioni di antenati polentofagi, castagnofagi o al massimo (nei dì di festa) risottofagi e carnivori con moderazione, che consideravano fino a qualche decina di anni fa la pizza alla stregua di una esotica e stravagante prelibatezza tibetana, di fronte a tanto vittimismo eurofobo condito di grottesca enfasi ideologica non può esimersi dal porsi qualche perplesso interrogativo. Perché all’improvvida nutrizionista americana ciò che risulta indigeribile non è tanto la popolarità della dieta mediterranea quanto piuttosto il sostegno ufficiale di cui questo stile di vita gode presso le grandi agenzie internazionali, come OMS, FAO e UNESCO, peraltro noti e pericolosissimi covi di uomini bianchi, eterosessuali di mezza età e dunque colpevoli per il solo fatto di esistere. «Celebrando il mangiare mediterraneo – scrive piccata Spence – facciamo credere alle persone di altre culture che il loro cibo sia inferiore». Insomma, una sorta di malvagio eurocentrismo dello stomaco che discriminerebbe le altre culture e le loro tradizioni alimentari. Intanto, e lo diciamo da «non mediterranei», a nostra volta, ci piaccia o meno, colonizzati alimentari, non si capisce perché sottolineare gli acclarati vantaggi nutrizionali e l’indiscutibile prestigio gastronomico della dieta mediterranea possa in qualche modo risultare offensivo per altre culture. Se c’è un vantaggio derivante dalla globalizzazione è forse proprio l’interscambio tra culture che spesso comincia (almeno nel ricco occidente) proprio dalla possibilità di sperimentare ormai dovunque la cucina e i piatti di quasi tutti i Paesi del mondo. Ma l’inconsistente aleatorietà delle pretestuose accuse dell’occhiuta nutrizionista statunitense viene rapidamente a galla quando si pensa che, come ci ha insegnato il grande storico delle culture alimentari Piero Camporesi, col Mediterraneo quel regime alimentare c’entra in fondo ben poco, anche perché quella formula di salute e felicità venne inventata negli anni Cinquanta dal fisiologo e biologo americano (ma guarda un po’) Ancel Keys.

Altro che eurocentrismo oppressore dunque, la dieta mediterranea è piuttosto «una specie di codice dietetico artificiale, – per usare le parole di Camporesi – o di vangelo della buona novella alimentare che apre la strada alla felicità e alla salute terrena del consumatore moderno liberandolo dal peso del passato. Inutile precisare che nessuna delle genti che vivono ai bordi di questo glorioso mare l’ha mai conosciuta e tantomeno praticata». Forse allora a certi ameni deliri d’oltreoceano è meglio non dare troppa importanza e se proprio ci vogliamo sentire minacciati dagli spaghetti (qui, a New York o in Papuasia) reagire con le parole immortali di Alberto Sordi (alias Nando Mericoni) in una delle scene indimenticabili di Un americano a Roma di Steno: «Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno...!».