L'editoriale

Un Ticino più aperto alle sfide del futuro

Si è tornati a parlare con una certa verve, negli scorsi giorni, dell’aeroporto di Lugano
Paride Pelli
18.09.2023 06:00

Si è tornati a parlare con una certa verve, negli scorsi giorni, dell’aeroporto di Lugano. Le ragioni ci sono tutte: lo scalo di Agno, da diversi punti di vista, è al momento una storia interrotta, una vicenda incompiuta, e viene percepita come tale sia da chi ritiene che vada maggiormente valorizzato, sia da chi, invece, lo considera poco vantaggioso o addirittura inutile per il futuro del nostro cantone. Nel nostro piccolo, scrivevamo poco più di un mese fa su queste colonne - salutando la nomina di Maja Hoffmann a presidente designata del Locarno Film Festival, nomina che diventerà effettiva mercoledì con l’assemblea straordinaria - che se la kermesse cinematografica avrà quell’ulteriore dose di successo globale che le auguriamo, sarà inevitabile tornare ad affrontare la sfida di migliorare le infrastrutture ticinesi. Dall’accoglienza ai servizi, fino ai trasporti. Aeroporto incluso, ça va sans dire. Su quest’ultimo ognuno è libero, e ci mancherebbe, di avere i suoi punti di vista, le sue visioni e le sue strategie. In futuro avremo certamente modo di approfondire e discutere quale sarà la migliore. Il nostro giornale ospiterà tutti i pareri e di dibattiti necessari. Quello che, tuttavia, ci rende perplessi fin da oggi, è la critica senza fondamento rivolta a chi, disponendo dei mezzi per farlo, sta attualmente usando l’aeroporto di Agno come tappa o destinazione per i suoi viaggi d’affari o di relax, a bordo di aerei aziendali o privati.

Si è arrivati persino, forse sull’onda di certe isterie climatiche degli ultimi tempi, a stigmatizzare l’aeroporto di Agno come un impressionante generatore di inquinamento. Manca poco che si accuseranno direttamente gli imprenditori, le celebrità e chiunque attraverso il proprio lavoro abbia avuto la capacità di accumulare profitti importanti - e voglia spenderli sul nostro territorio, anche attraverso dei voli privati - di attentare alla salute delle migliaia di ticinesi che vivono nei pressi dello scalo.

Ci sembra che questo genere di settarismo non sia la premessa corretta per riflettere su quello che il Ticino vuole diventare e che, ci sia permesso, ha bisogno di diventare, dal momento che restare fermi, in un’epoca come la nostra, è garanzia di recessione, di perdita d’attrattività. Ma queste critiche sono anche la spia di una questione culturale più ampia. Andiamo alla sostanza della discussione: stiamo parlando dei cosiddetti globalisti. Alla fine dell’anno scorso, nel nostro cantone ce n’erano 767 (in calo rispetto agli anni precedenti) e hanno portato alle casse comunali, cantonali e federali qualcosa come 183,5 milioni di franchi. Secondo alcuni, in Ticino si vivrebbe meglio senza di loro, senza i loro inquinanti velivoli privati, senza quel contributo – anche sociale e culturale – che tanti di loro portano al nostro cantone, e naturalmente senza le loro tasse. Sono critiche di sapore populista, che per qualche motivo non guardano alla realtà d’insieme, ma a uno sparuto gruppo di persone che, lungi dall’aumentare i problemi cantonali, spesso li diminuisce. Con tutte le sfide che in questi anni il nostro Ticino dovrà affrontare, non ci sarebbe mai passato per la testa di mettere i globalisti sul banco degli imputati. C’è chi ha scritto che se l’aeroporto di Agno fosse scomparso del tutto, nessuno se ne sarebbe accorto. Probabilmente c’è chi pensa lo stesso dei globalisti. Un ragionamento bizzarro, coerente con una certa volontà di declino che a volte si impadronisce di qualche testa fra i nostri concittadini.

A tal proposito, un’altra «globalista» di assoluta capacità professionale e di prestigio mondiale a breve lavorerà per far crescere ulteriormente il Locarno Film Festival, la già citata Maja Hoffmann. L’apporto di questa imprenditrice, collezionista d’arte e mecenate sarà, immaginiamo, più che interessante, con ricadute sul territorio e sulle famiglie che vi lavorano. Sarà un’infusione di grande internazionalità per un cantone che ne ha sempre più bisogno e che farebbe bene ad aprirsi alla novità invece di ripiegarsi su se stesso. Speriamo fin da ora che la nuova presidente non venga accolta da critiche preventive, solo perché non parla il nostro dialetto.