Un'estate di sfida per il Ticino e il turismo

Questa estate sarà particolarmente significativa per fare il punto sul settore del turismo ticinese. Statistiche e previsioni danno il numero di turisti in Europa, anche nella a noi vicina Milano, in aumento. Una tendenza che era in qualche modo prevedibile: l’onda lunga della pandemia ha smesso di fare danni, la guerra in Ucraina persiste, con le sue ripercussioni economiche, ma non è più, si spera, al suo apice. C’è voglia di viaggiare, nonostante tutto, e l’hotellerie europea, a questo giro, sembra decisa a cogliere appieno l’opportunità. In Ticino le campagne promozionali sono state organizzate e avviate mesi orsono e anche sui social media si può intercettare un numero maggiore di pubblicità delle nostre realtà locali, soprattutto gastronomiche. I prossimi mesi saranno dunque, se non il momento della verità, la prova del nove di quanto istituzioni e privati stiano davvero puntando sul turismo, anche come parte di un rilancio complessivo del prestigio e dell’economia del Ticino. E con quali ritorni. A ottobre tireremo i conti. Vedremo quali saranno stati i punti di forza da potenziare e quelli meno validi su cui bisognerà lavorare ulteriormente. Certo, nella riflessione finale non si potrà non tenere conto delle urticanti parole pronunciate poco dopo l’ultima Pasqua da Massimo Suter.
Il presidente di Gastroticino, la Federazione degli esercenti albergatori, nel suo stile ha infatti «osato» un paragone che è ancora capace di creare malanimo nel nostro cantone, quello tra il lago di Lugano e quello di Como. «Piove sul Lago di Como. Piove anche in Ticino. Eppure da una parte si registra il tutto esaurito, dall’altra… camere vuote e strade tranquille» ha detto Suter, aggiungendo che sul lago «avversario» sono capaci di «raccontare un’esperienza anche con il cielo grigio. È un turismo che non aspetta il sole, ma lo crea. Noi spesso restiamo in attesa. È arrivato il tempo di rimettersi in gioco».
C’è una porzione di verità nelle parole, amare, di Suter: per diverse ragioni, anche e forse soprattutto culturali, il Ticino è più propenso ad aspettare il turista, ancora percepito come «lo straniero», anziché andarlo a prendere. Da questo punto di vista, in un mondo dove la proposta turistica dei Paesi emergenti diventa sempre più aggressiva e attrattiva, e non solo a livello di turismo di massa, sarebbe opportuno che il nostro settore del turismo si organizzasse per diventare più seducente e internazionale. Le potenzialità non gli mancano. Il Ticino (forse) non è Lucerna - ma potrebbe esserlo tranquillamente - ma può comunque giocare la sua partita sulle rotte intercontinentali. Più che volerlo, bisogna desiderarlo. Rimanendo, però, il Ticino, se stesso.
Quello che convince meno nel ragionamento di Suter è infatti il paragone tra due modelli di turismo oggettivamente diversi, seppur molto vicini geograficamente. Anche qui il dato di base è culturale. È indubbio che lo stile di vita italiano che si respira sul lago di Como è in grado di sprigionare un peculiare edonismo mediterraneo che richiama una definita categoria di turisti. Non possiamo farci niente, fa parte della tradizione culturale dei luoghi: quella comasca è una strada che, probabilmente, è inutile tentare di imitare. Possiamo, invece, «aprire al mondo» le nostre tradizioni, anche quelle recenti che hanno reso Lugano famosa internazionalmente e non solo come terza piazza finanziaria svizzera che si è aperta alle criptovalute e Locarno una città con eventi di richiamo internazionale: meno turismo mordi e fuggi, più servizi, anche di alta qualità, un lusso meno sfrenato e ostentato, ma accessibile anche alle classi medie dell’Asia e delle Americhe. Identità e allegra apertura allo «straniero». Un mix, ça va sans dire, non facile. Ma la sfida è questa.