L'editoriale

Un'incauta decisione sulla libertà di stampa

Non è un periodo semplice per giornali e giornalisti
Paride Pelli
12.05.2022 06:00

Non è un periodo semplice per giornali e giornalisti. Il secco «no» al pacchetto di misure a favore dei media dello scorso 13 febbraio è stato un duro colpo per le testate medio-piccole, che devono far fronte ad un netto incremento dei costi (della distribuzione postale in particolare) e ad una costante erosione degli abbonamenti. Una tendenza che preoccupa gli editori, alle prese, negli ultimi mesi, con un ulteriore calo della pubblicità in seguito alla ridotta reperibilità delle materie prime, a causa della guerra in Ucraina. Di fatto, alcuni settori dell’economia si ritrovano oggi col freno a mano tirato, in un contesto di incertezza generale di cui anche i media pagano, e non poco, le conseguenze. Sia chiaro: non siamo stati colpiti da nessuna sindrome di Calimero né mai lo saremo. Tuttavia la sensazione è che il nostro settore in Svizzera non goda della giusta considerazione, pur dimostrando ogni giorno il proprio indispensabile ruolo nell’equilibrio democratico del Paese.

In un contesto simile, altamente delicato, l’ultima decisione presa dal Parlamento – che vuole conferire alle autorità giudiziarie un ancor più ampio margine di manovra per bloccare a scopo cautelativo la pubblicazione o la messa in onda di servizi d’inchiesta ritenuti in qualche modo «lesivi» della reputazione di qualcuno – non fa che complicare, indebolendolo, il lavoro delle redazioni.

È sorprendente come questa decisione vada esattamente all’opposto di quanto deliberato a Bruxelles, dove la Commissione europea ha varato invece una direttiva per limitare l’abuso di azioni legali intimidatorie contro giornalisti e difensori dei diritti civili; e lo è ancor di più se pensiamo che il giornalismo svizzero è storicamente tra i più rispettosi e sensibili riguardo i diritti della persona, con un’informazione sul web pure tra le meno «urlate» d’Europa.

Chi conosce il funzionamento di una redazione sa inoltre benissimo che il giornalista, nella stragrande maggioranza dei casi, è un professionista che osserva un rigoroso codice deontologico e procede con una cautela pari a quella di un chirurgo durante un’operazione. Per tali ragioni riteniamo che quanto deciso ieri l’altro a Berna non è tanto un sacrosanto provvedimento a tutela dell’individuo e del cittadino, ma piuttosto un bavaglio preventivo che potrà essere usato per limitare e circoscrivere, in determinati contesti, lo spazio d’azione del giornalismo d’inchiesta. Un deterrente giuridico – per fortuna non è ancora il caso di parlare di censura – che apre a pericolose derive.

Davvero si fa fatica a comprendere la ragione di una simile misura. Anche perché da sempre sappiamo che libertà e responsabilità vanno di pari passo e che se un giornalista sbaglia, magari mosso dalla ricerca spasmodica di uno scoop, ne risponderà in ogni sede, pagandone le conseguenze. E sappiamo pure che in un caso simile la vittima riceverà, oltre alle dovute scuse, anche un risarcimento, e che - soprattutto - la testata in errore perderà quanto ha di più prezioso in assoluto, ovvero la propria autorevolezza.

Un sistema, questo, che sino ad oggi ha quasi sempre funzionato, ma che il Parlamento, probabilmente, non reputa più sufficientemente garantista. Peccato però che il messaggio che passa tra le righe di questa nuova misura è quello, negativo e incomprensibile alla prova dei fatti, di una considerazione davvero scarsa del modus operandi dei media svizzeri. Quasi che le testate manchino di rispetto, un giorno sì e l’altro pure, alla privacy dei cittadini.

Ed è pure avventato e incauto il momento storico in cui si è deciso di adottare un simile provvedimento: dall’inizio della crisi legata al coronavirus i giornalisti sono infatti sempre più spesso presi di mira da attivisti di vario genere, e tacciati il più delle volte di essere filogovernativi. Critiche che sono sfociate talvolta in minacce (sui social media e verbali) e persino in attacchi fisici veri e propri. La situazione della libertà di stampa in Svizzera rimane «piuttosto buona», secondo Reporter Senza Frontiere, ma non va dimenticato che la Confederazione nella specifica graduatoria si ritrova attualmente al 14. posto su 180 Stati, dopo aver perso quattro posizioni rispetto all’anno precedente. Di sicuro, decisioni come quella appena presa da Berna non aiuteranno il nostro Paese a riguadagnare gli avamposti della classifica.