L'editoriale

Uniti o divisi? Anche solo responsabili

Chiuso il tris di elezioni è ora e tempo di guardare alla (breve) stagione «del fare» – Sarà semplice? Sì, ma solo a parole
Gianni Righinetti
16.04.2024 06:00

Ieri ci siamo lasciati alle spalle l’ultimo appuntamento del tris di elezioni che darà forma e sostanza all’azione politica del futuro a livello locale. Prima c’era stata la scelta dei cinque consiglieri di Stato unitamente a quella dei novanta parlamentari, poi era stata la volta dei dieci deputati sotto la cupola di Palazzo federale, per arrivare alle recenti Comunali, con l’elezione della schiera dei municipali e del plotone dei consiglieri comunali. A livello di Esecutivo non abbiamo di fatto conosciuto grandi sorprese in dodici mesi: la socialista Marina Carobbio è entrata in Governo da predestinata, mentre a Lugano ha percorso la medesima strada il democentrista Marco Chiesa, guardato però con crescente sospetto dai cugini leghisti, che alla fine sono riusciti a salvare la poltrona di sindaco a Michele Foletti. E questo anche grazie al sempre crocerossino apporto dell’elettorato liberale-radicale. Partito, quest’ultimo, che ha mantenuto il sindacato di Locarno eleggendo a sua volta un predestinato (Nicola Pini), in quella città del Festival che ha disarcionato dalla sedia di municipale il solo ecologista nell’Esecutivo di una grande città a vantaggio del Centro. Forza moderata che è stata premiata nella più recente tornata elettorale. A livello di Legislativo un anno fa la Lega a due velocità (gazzella in Governo e tartaruga in Parlamento) aveva subito una mazzata con quattro seggi in meno, dopo un tracollo fotocopia già subito nel 2019. Via Monte Boglia ha iniziato così a fare rima con «mai una gioia», con mazzate a raffica mentre l’UDC ha seguito un processo di crescita prima alle Cantonali e poi alle Federali dello scorso autunno, operando il sorpasso sulla Lega a danno del secondo seggio del Centro. Senza infamia e senza lode il fronte rossoverde, orfano ormai dello storico seggio al Consiglio degli Stati ottenuto grazie all’ondata verde post-Fukushima e a una congiunzione astrale unica. Rossoverdi agevolati anche dal pasticcio sull’asse PLR e dell’allora PPD, convolati a nozze un po’ per caso in occasione di quella contesa e presto divorziati con lancio di piatti e bicchieri all’indomani della frittata elettorale. Intanto la destra ha conquistato terreno a Mendrisio confermando il leghista e premiando l’UDC con un seggio, a svantaggio del PLR: l’occupante della sedia è rimasto lo stesso, ma ad essere premiata è stata l’area politica avversaria.

Tradurre un voto locale nella dimensione e in un ragionamento cantonale non è né semplice, né immediato. Ma c’è almeno un elemento che deve fare riflettere: mentre per le Cantonali e le Federali il mantra comune è stato «separati si perde, uniti si vince», la realtà dei fatti nel rinnovo degli Enti locali, ci racconta in parte una trama diversa del film elettorale. A livello di Municipi PS e Verdi a braccetto hanno perso 14 seggi, laddove la sinistra classica correva da sola ha ottenuto saldo zero, mentre i Verdi in solitaria un seggio in più. Una dinamica simile c’è stata a destra con la coppia Lega/UDC a quota cinque seggi in meno, mentre da sole entrambe le forze hanno ottenuto sei poltrone in più a testa. Ma attenzione a prendere per oro colato quanto sopra e credere che in vista del 2027 sia meglio andare ognuno per la sua strada.

In realtà, ancor prima di pensare all’appuntamento prossimo venturo, sarebbe opportuno e responsabile, badare al fare più che all’architettare. Con l’anno elettorale si chiude una stagione intrisa di tattiche e sgambetti. Ora l’aspettativa dell’elettore al quale è stata chiesta fiducia è che prenda il via un biennio (tempistica fin troppo ottimistica) del fare, prima di ripiombare nella campagna elettorale che promette di dare vita a un ricambio che va oltre la singola poltrona. Una stagione del fare tessendo una tela comune, partendo dal concetto d’area. Non c’è la pretesa che le forze politiche, almeno quelle con responsabilità anche di Governo, vadano d’amore e d’accordo su tutto. Ma almeno che individuino alcuni temi prioritari (e tra questi il macro dossier del risanamento delle finanze) sui quali definire una strategia e una rotta condivisa. Una spinta che dovrebbe arrivare in primis dalle due forze di centro, che dovrebbero farsi promotrici di qualcosa di concreto, realizzabile e sostenibile. Il problema è che difficilmente qualcuno uscirà allo scoperto prima del voto spartiacque del prossimo 9 giugno (fisco, Cassa pensioni e Cittadella della giustizia). Ma restare con le mani in mano fino ad allora, significherebbe immobilismo oltre l’estate. Da quel momento, con l’aria più fresca e il Preventivo 2025 in gestazione, il rischio di scivolare nuovamente nelle solite logiche dell’orticello e dei veti incrociati, il destino di questa legislatura potrebbe essere segnato. Non tocca a noi mettere fretta, ma occorre aprire gli occhi e rendersi conto che il tempo è prezioso. Tradotto significa essere responsabili. E dire che, a parole, sembra semplice, elementare persino.

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