Gaza e la frustrazione delle istituzioni internazionali

Somalia 2011. Sud Sudan 2017 e 2020. Darfur 2024. Gaza 2025. La Classificazione delle fasi dell’insicurezza alimentare (l’IPC), a partire dalla sua creazione, solo in cinque casi ha decretato uno stato di carestia. E Gaza, da ieri, fa parte di queste catastrofiche eccezioni. Lo ha annunciato l’ONU, sulla base del rapporto dell’IPC, che specifica dati e scenari e che sottolinea come tale carestia sia «interamente provocata dall’uomo», che a rischio ci sono le vite di 132.000 bambini sotto i cinque anni d’età, che in pericolo entro la fine di settembre saranno 641.000 persone. Israele nega, parla di «rapporto falso», condizionato dai dati «superficiali di Hamas, un’organizzazione terroristica», e non inclusivo degli «ampi sforzi umanitari intrapresi a Gaza». Una posizione, questa, avanzata proprio nelle stesse ore in cui il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, minacciando Hamas, promette di distruggere Gaza City nel caso in cui il gruppo terroristico non rilasciasse gli ostaggi rimasti nel territorio. «Presto le porte dell’inferno si apriranno sulle teste degli assassini e degli stupratori di Hamas a Gaza, finché non accetteranno le condizioni israeliane per porre fine alla guerra», ha detto. Le porte dell’inferno però si sono ormai aperte anche sulle teste dei civili, che rappresentano l’83% delle vittime a Gaza. Gli stessi leader israeliani, da Benjamin Netanyahu in giù, sono stati aspramente criticati da Tom Fletcher, il responsabile umanitario delle Nazioni Unite. «La fame è apertamente promossa da alcuni leader israeliani come arma di guerra». Ma più interessante è un’ulteriore dichiarazione di Fletcher: «Questa è una carestia che ci perseguiterà tutti». L’idea della distribuzione delle responsabilità - per quanto sta accadendo alla popolazione civile di Gaza - anche oltre i confini di Israele è una prospettiva tutto sommato recente, all’interno della guerra in corso e della sua narrazione, e rivela l’esasperazione dell’opinione pubblica di fronte a una guerra difficile da capire nelle dinamiche e nei toni, ma soprattutto nelle conseguenze. La frustrazione è poi quella delle stesse istituzioni globali, a cominciare proprio dalle Nazioni Unite. Sempre ieri, nel contesto dell’Expo di Osaka, il segretario generale António Guterres ha detto: «Sebbene molti potrebbero non rendersene conto, le Nazioni Unite influenzano le nostre vite ogni singolo giorno, ma oggi questo progetto multilaterale è minacciato». Le norme internazionali e i principi umanitari si ritrovano superati dagli eventi e dagli interessi in gioco, non solo a Gaza. Non hanno più un ruolo e faticano persino a diventare materia di recriminazione collettiva. E allora non ci sono garanzie di alcun tipo, in questo mondo in cui tutto è interconnesso, al punto che le sicurezze cadono in secondo piano rispetto agli equilibri economici e politici tra Stati. Guterres chiede una riforma delle istituzioni dell’ONU. Si sarà già reso conto che anche questa ennesima denuncia, quella legata alla grave carestia di Gaza, è destinata a cadere nel vuoto. Sì, serve una riforma, ora è chiaro.