I Caraibi e la fine della dinastia dei Windsor

«È troppo tardi per salvare il Commonwealth?», si chiedono angosciati i giornali britannici dopo la fallimentare visita in Giamaica dei fascinosi duchi di Cambridge. Il resto del mondo era comprensibilmente troppo occupato con la tragedia ucraina per curarsi del viaggio caraibico del futuro re d’Inghilterra, che se le cose non cambieranno un giorno regnerà anche su questa incantevole isola delle Grandi Antille. Ma sembra sempre più improbabile. Stavolta, tra i nipotini di Bob Marley, il magico del glamour di William e Kate non ha funzionato. Il passato non risolto torna sempre ad agitare il presente come un inquieto fantasma. E lo spettro stavolta si chiama schiavismo.
Kehinde Andrews, professore di sociologia all’università di Birmingham, sostiene che «la famiglia reale è così strettamente legata alle idee dell’impero, del colonialismo, della purezza razziale, da rappresentare probabilmente il principale simbolo di supremazia bianca che noi abbiamo». Non che la regina, a differenza del marito celebre per le sue gaffe, abbia mai pronunciato una sola sillaba potenzialmente offensiva dal punto di vista razziale o etnico. Ma qui è la storia che conta, e fa dei Windsor - a dispetto della loro prudenza - un obiettivo naturale della «woke culture», la ribellione culturale generata da movimenti come BlackLivesMatter che sta spazzando soprattutto (ma non solo) le Americhe.
I Caraibi, popolati dai discendenti degli antichi schiavi, ne avvertono profondamente l’impatto, e questo alimenta l’ondata di repubblicanesimo che ha investito l’arcipelago. Molte delle ex colonie caraibiche hanno infatti conservato la regina d’Inghilterra come capo nominale dello Stato ma non poche, oggi, pensano di seguire l’esempio di Barbados, che si è liberata dei Windsor pochi mesi fa diventando repubblica. È precisamente quello che ha in mente di fare l’attuale primo ministro laburista della Giamaica, Andrew Holness , che ha accolto William e Kate al loro arrivo a Kingston con queste parole: «La nostra vera ambizione è di diventare un Paese indipendente, sviluppato e prospero».
Ora, non è che la Giamaica non sia indipendente. Non meno di quanto lo siano il Canada e l’Australia, anche loro tra i 15 regni su cui Elisabetta II esercita la sua autorità sovrana senza tuttavia minimamente interferire nelle loro scelte di politica interna ed estera. E allora perché questa crescente disaffezione verso la Corona? Il fatto è che la monarchia sta diventando rapidamente un anacronismo non solo nel mar dei Caraibi ma anche altrove nel Commonwealth. E non basta più che Kate balli il reggae e William suoni i tamburi nella casa di Bob Marley, a Trench Town, per ammaliare i sudditi e guadagnarsi le loro simpatie.
William aveva cercato di placare le proteste degli oppositori giamaicani nel suo discorso ufficiale. Aveva espresso «profondo dolore» per la schiavitù di milioni di africani, «che non sarebbe mai dovuta accadere». Il fatto è che per molti degli interessati questo rappresenta troppo poco, e troppo tardi. Dice Lisa Hanna, una ex Miss Mondo passata alla politica con il People’s National Party: «Condannare la schiavitù senza far seguire nessuna azione concreta, come hanno fatto il principe Carlo e il principe William, non è particolarmente audace, né mostra coraggio».
Il mondo è cambiato da quando la regina Elisabetta intraprese il suo primo giro del Commonwealth tra acclamazioni trionfali. Ora questa associazione di 54 Stati che Elisabetta ama definire «famiglia di nazioni» è in evidente declino e sono in molti a pensare che quando la monarca non ci sarà più pure il Commonwealth finirà i suoi giorni. Ma ho l’impressione che, una volta scomparsa Elisabetta, anche la Corona non se la passerà meglio. È probabile che il numero di Paesi decisi a scrollarsela di dosso aumenti rapidamente, e sebbene al momento sembri salda almeno in Inghilterra, pare difficile che il disincanto planetario verso l’istituzione non contagi pure i sudditi britannici. L’addio dei Caraibi ai Windsor potrebbe essere il prodromo della fine di una dinastia ormai identificata con la sua sovrana più longeva. Senza di lei, basterà il reggae di William e Kate a scaldare i cuori inglesi?