il commento

I rischi del territorio dell'isola di Ischia

Casamicciola, il Comune che lo scorso 25 novembre è stato colpito da una tragica frana, ha un territorio straordinariamente a rischio
Robi Ronza
Robi Ronza
01.12.2022 22:40

Casamicciola, il Comune dell’isola di Ischia nel golfo di Napoli che lo scorso 25 novembre è stato colpito da una tragica frana, ha un territorio straordinariamente a rischio. Per un verso è a grave rischio sismico: un violento terremoto causò il 28 luglio 1883 la morte di 1.784 dei suoi 4.300 abitanti di allora e il crollo del 79,9 per cento delle sue abitazioni. Tra le vittime anche dei villeggianti tra cui i genitori e la sorella del filosofo Benedetto Croce, allora un giovane di diciassette anni, che invece venne estratto vivo, pur se seriamente ferito, dalle macerie. Altri morti si contarono nei Comuni vicini, tra cui 345 a Forio e 146 a Lacco Ameno. Un terremoto più recente, di magnitudo 4.0, verificatosi il 21 agosto 2017, ha causato crolli, due morti e 42 feriti.

Per un altro verso Casamicciola è a grave rischio di frane, per di più di un carattere particolare e specificamente insidioso. La superficie dell’isola è in larga misura costituita da depositi di polveri vulcaniche di scarsissima consistenza. In caso di pioggia intensa questa polvere vulcanica si imbeve di acqua, e dove il terreno è in pendenza come è ovviamente il caso del monte Epomeo (m. 789), che sovrasta Casamicciola, accade che precipitino verso il basso delle valanghe di fango liquido che sono istantanee, soffocanti e penetranti come le valanghe di neve. Così accadde nel 1910, nel 2009 e lo scorso 25 novembre.

C’è da domandarsi come mai a Casamicciola, e forse anche nei Comuni vicini, si costruisca senza tenere conto di tale stato di cose. In effetti non risulta che sia sempre stato così. Ad esempio nel 1936, per evitare un’altra frana come quella del 1910, sul monte Epomeo venne scavata, perpendicolarmente alla linea di pendenza, una serie di canali rivestiti di pietra lavica, detti «briglie», fatti per scaricare l’acqua piovana altrove così da evitare la caduta di valanghe di fango sulle zone abitate. In anni più vicini a noi la manutenzione delle «briglie» è però venuta meno. Si è lasciato che si riempissero di vegetazione e di tronchi d’albero caduti. Inoltre l’isola di Ischia, che fino agli anni ’60 del secolo scorso era intensamente coltivata, oggi vive soprattutto di turismo. Perciò sono abbandonati o non più accuratamente mantenuti circa 2 mila chilometri di terrazzamenti grazie ai quali il flusso sul terreno dell’acqua piovana veniva trattenuto e frazionato.

L’Italia è un Paese sismico per quanto riguarda un terzo del proprio territorio. Quindi anche le zone sismiche devono restare abitate; e oggi questo è possibile con sicurezza costruendo e adeguando gli edifici già esistenti con efficaci tecniche antisismiche di cui peraltro in Italia c’è vasta esperienza. Invece per fatalismo e per un nodo di inadempienze da varie parti dopo il terremoto del 2017 a Casamicciola e anche nel resto dell’isola di Ischia non ci si è affatto mossi in tal senso. Al contrario si era premuto per ottenere, come poi concesso nel 2018 dal primo governo Conte (Movimento 5 Stelle e Lega), di andare in direzione opposta.

Nel cosiddetto «Decreto Genova» del 28 settembre 2018 - con cui erano state definite deroghe alla legislazione vigente ai fini di una rapida costruzione a Genova del nuovo viadotto autostradale in sostituzione del crollato ponte Morandi - era stato infilato anche un articolo su misura per la ricostruzione delle case distrutte a Ischia dal terremoto dell’agosto 2017. L’articolo consentiva l’accesso ai fondi pubblici per la ricostruzione di case anche edificate abusivamente a cui non era stata ancora applicata la sanatoria prevista da leggi di condono per lungaggini burocratiche o ritardi nei controlli. Così di fatto si sono sanate non solo piccole difformità ma anche edificazioni in luoghi pericolosi.

È questo il quadro umano, economico e sociale in cui si situa quanto è accaduto a Casamicciola il 25 novembre scorso. Poi c’è la gente che fatalisticamente si costruisce la casa abusiva sugli itinerari delle valanghe di fango, ci sono i sindaci che non impediscono le costruzioni abusive e d’altra parte non hanno i mezzi per impedirle, le forze di polizia che non si curano delle violazioni delle norme urbanistiche e i prefetti che non se ne accorgono. Viene perciò da sorridere alla notizia che la Procura della Repubblica di Napoli ha aperto un’inchiesta per capire chi è responsabile del disastro. Le singole responsabilità personali ci sono e sembra impossibile che la Procura non le avesse viste anche prima, ma il problema è più complesso, più vasto e più profondo delle singole responsabilità e la sua soluzione richiede un impegno generale della società e delle istituzioni che ci si deve augurare di non dover attendere ancora a lungo.