Il commento

Il minaccioso dominio dei grandi gruppi

Dare regole alle attività dei giganti dell'high tech non è facile neppure per Washington
Alfonso Tuor
05.08.2023 06:00

Viviamo ancora all’interno di un’economia di mercato? Sì, ma di un mercato oligopolistico in cui pochi grandi gruppi dominano il settore in cui operano. Questa realtà, che è sotto gli occhi di tutti, ha enormi conseguenze sugli investimenti delle imprese, e quindi sulla produttività, e sui prezzi dei beni e dei servizi che offrono sul mercato. Questo fenomeno di concentrazione delle attività industriali e di offerta dei servizi si è rafforzato negli ultimi anni a causa della globalizzazione e dei progressi tecnologici. L’apertura dei mercati ha fatto sì che coloro che erano una volta campioni nazionali si trasformassero a livello mondiale in un breve arco di tempo in imprese di piccole e medie dimensioni. La reazione è stata ovvia: ricreare le dimensioni di scala attraverso acquisizioni, fusioni oppure attraverso alleanze, come è capitato nel settore automobilistico protetto dalle resistenze politiche nazionali. L’aumento delle dimensioni di scala è stato utilizzato sia per espandere le vendite sia per ridurre i costi di produzione, delocalizzando nei Paesi a bassi salari grandi parti della produzione. Questo processo è stato facilitato dai progressi tecnologici che hanno pressoché azzerato i costi delle comunicazioni sia dalla diminuzione dei costi dei trasporti. Non deve dunque sorprendere che, come mette in evidenza il settimanale The Economist, negli Stati Uniti il numero delle imprese con una quota di mercato superiore ai due terzi è cresciuta da 65 del 1997 a 97 nel 2017. In Europa le imprese con una quota di mercato è cresciuta nello stesso lasso di tempo dal 16% al 27%. Non deve quindi stupire che queste imprese hanno ottenuto maggiori utili. In un mercato competitivo i profitti sul capitale investito non superano il 10%. Nell’anno scorso, secondo i dati di Bloomberg, escludendo il settore finanziario, gli utili superiori al 10% del capitale investito hanno raggiunto i 4.000 miliardi di dollari, ossia 4% del PIL mondiale. Questo «eccesso» di profitti è concentrato nei Paesi occidentali: negli Stati Uniti il 41% del totale e in Europa il 21%. Questi dati spiegano le prese di posizione del Fondo Monetario Internazionale, prima, e della Banca centrale europea che hanno accusato le grandi imprese di favorire l’inflazione. Infatti, ad esempio, la Nestlé ha deciso di aumentare i prezzi dei propri prodotti per compensare l’aumento dei costi scontando una perdita di quote di mercato. I dati della multinazionale di Vevey mettono in evidenza che il «pricing power» della multinazionale svizzera è tale da averle consentito di non perdere clienti. Le conseguenze sul rincaro di questi mercati dominati sempre più da poche grandi multinazionali non si limitano agli effetti sul rincaro, ma (ed è l’aspetto più grave) all’aumento della produttività, che continua a rimanere molto basso (e la produttività è sul lungo termine il dato più importante per ogni economia). Questa tendenza è facilmente spiegabile: per un’impresa nuova le barriere all’entrata in settori dominati dalle grandi imprese sono proibitive. Quindi, esse vengono acquistate dai grandi prima che crescano per assorbire le loro innovazioni oppure per chiuderle onde impedire lo sviluppo di un potenziale concorrente. Si tratta di una prassi diffusa non solo nel settore farmaceutico, che diventa una realtà fracassante (come direbbero i francesi) nelle nuove tecnologie. Infatti abbiamo quattro imprese che dominano in Occidente: Meta (Facebook), Microsoft, Google e Apple. Questi giganti sono già i protagonisti della prossima ondata di nuove innovazioni tecnologiche connesse con l’Intelligenza artificiale. Le conseguenze del processo di concentrazione delle attività economiche non riguardano unicamente la dinamica dei prezzi, la produttività e la diversificazione della struttura economica dei nostri Paesi, ma, come dimostrano i quattro campioni dell’high tech, anche e soprattutto la loro influenza sulle autorità di sorveglianza contro i monopoli e sul potere politico. La regolamentazione delle attività di questi «magnifici quattro» è diventata difficile anche per Washington, per non parlare di un’Europa che non riesce nemmeno a farsi pagare le imposte e a frenare la loro continua espansione come evidenzia Microsoft, che ha acquistato una partecipazione determinante in OpenAI (campione dell’Intelligenza artificiale) e per 64 miliardi di BlackVision per diventare campione mondiale anche nei videogiochi. In conclusione, la continua concentrazione delle attività economiche non minaccia solo il futuro delle nostre economie, ma anche le nostre democrazie.