L'editoriale

Il naso di Cleopatra e quello di Leonard

La miserabile polemica suscitata dal film Maestro, che racconta la vita dell’immenso Leonard Bernstein, dimostra soltanto una volta di più l’idiozia molesta e pericolosa degli stupidamente corretti dilaganti in questo triste inizio di XXI secolo
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
09.09.2023 06:00

Che abbia vinto o perso la sua arguta scommessa sull’esistenza di Dio e quindi che si trovi in Paradiso, all’Inferno o in un Limbo pieno zeppo di filosofi chiacchieroni, di sicuro il buon Biagio Pascal (si può ancora dire Biagio senza offendere i francesi, vero?) si starà facendo quattro grasse risate. In confronto alla sua geniale insinuazione sul ruolo storico decisivo del naso «importante» di Cleopatra che «se solo fosse stato un po’ più corto, tutta la faccia della Terra sarebbe cambiata», la miserabile polemica suscitata dal film Maestro, che racconta la vita dell’immenso Leonard Bernstein, dimostra soltanto una volta di più l’idiozia molesta e pericolosa degli stupidamente corretti dilaganti in questo triste inizio di XXI secolo. Ma riassumiamo, con un sorriso, i fatti: dopo anni di preparazione, l’americano Bradley Cooper scrive, dirige, coproduce e interpreta un filmone che rievoca la vita di Leonard Bernstein, compositore, direttore d’orchestra e intellettuale tra i più importanti del Novecento, concentrandosi soprattutto sulla sua intensa, turbolenta e commovente storia d’amore con la moglie Felicia. Maestro è (e dopo il passaggio a Venezia, dove stasera sarebbe bellissimo conquistasse un leoncino di qualche genere, ne abbiamo avuta la conferma) un robusto biopic in cui Bradley Cooper per somigliare fisicamente a Bernstein appare truccato con un naso più pronunciato del solito. Non più bello o più brutto, si badi bene. Semplicemente un naso diverso dal suo. Apriti cielo! Al semplice svelamento dei primi fotogrammi di lancio ecco gli occhiuti censori dell’ortodossia vomitare insolenze contro il povero Cooper, reo di avere accentuato un tratto identitario ebraico, con tutte le deliranti e conseguenti discussioni da tastiera che ormai ben conosciamo.

Ora, premesso che, come ha spiegato bene l’ottima Elena Loewenthal su La Stampa, il naso ebraico è un’invenzione bella e buona e che non si tratta per nulla (checché ne pensino i non ebrei) di uno di quei tratti somatici grazie ai quali i figli di Israele si riconoscono tra loro visto che il famigerato naso adunco della vignettistica razzista non rientra nei canoni dell’autoraffigurazione ebraica, il caso vuole che Leonard Bernstein, fiero ebreo newyorchese fino al midollo, avesse un nasone non per le sue origini ma semplicemente perché agli esseri umani talvolta succede.

Come Cleopatra, Pippo Franco, san Carlo Borromeo, Dante Alighieri, Maometto (sperando di poterlo ancora scrivere senza fare la fine di Salman Rushdie), Ovidio, Maria Callas, Cyrano de Bergerac, Edoardo Sanguineti e (guarda un po’) un mai abbastanza rimpianto zio di chi scrive, i tre figli di Bernstein - tra l’altro coinvolti in ogni fase della lavorazione del film - hanno ricordato che «certo papà aveva un simpatico grande naso, quindi per noi va benissimo così e anche per lui sarebbe andata bene così». Derisi dalla comunità ebraica mondiale (che ha subito sostenuto il film), ridicolizzati dai familiari del Maestro, ignari del fatto che il lungometraggio sia coprodotto da Steven Spielberg e veda tra i protagonisti l’attrice e attivista per i diritti delle minoranze Sarah Silverman nei panni della sorella di Leonard, Shirley - dunque non esattamente due nazisti dell’Illinois -, i censori digitali del politicamente corretto, capitanati da un paio di stolidi critici cinematografici d’oltreoceano, hanno comunque emesso il loro verdetto: Bradley Cooper è un razzista e il film asseconda evidenti stereotipi antisemiti. Aprendo così una nuova desolante fase nell’epoca della dittatura del cretinismo cognitivo: quella della suscettibilità non richiesta, aprioristica e strumentale, per conto terzi. Che insulto è se chi dovrebbe esserne offeso non lo è? O forse, come ha sottolineato la figlia di Bernstein, Jamie, dopo la proiezione veneziana, sono solo polemiche «costruite per diventare una distrazione fastidiosa sminuendo la grandezza di un gigante del Novecento» e, aggiungiamo noi, i reali e ben più gravi antisemitismi quotidiani che ammorbano ancora il nostro tempo.