Il commento

Il tortuoso indirizzo dell'Unione europea

Gli sforzi per ridurre l'inflazione rischiano di essere vanificati
Carlo Rezzonico
Carlo Rezzonico
22.11.2022 06:00

Da parecchi anni alcuni membri dell’Unione monetaria europea aventi un indebitamento elevato si sentono eccessivamente vincolati dal Patto di stabilità e crescita e ne chiedono una revi-sione. Ora la Commissione europea ha pubblicato le sue proposte in merito. Eccone i punti principali. Ogni Stato deve presentare un programma di riduzione del debito per un periodo di quattro anni tenendo conto delle sue particolarità economiche, delle riforme da effettuare e degli investimenti previsti. Segue un negoziato con la Commissione, dal quale dovrebbe scaturire un documento che considera in modo flessibile gli obbiettivi di entrambe le parti in causa. Sono stabilite sanzioni stringenti per i casi di violazione dell’accordo.

Le proposte fanno sorgere dubbi. Alle istituzioni europee si rimprovera di aver elaborato un tessuto così fitto di norme che perfino esperti della materia faticano a trovare l’orientamento. Tutti auspicano semplificazioni. Purtroppo le idee avanzate ora dalla Commissione non sono in armonia con questo auspicio e aprono molti campi di incertezza. Quanto alle sanzioni, che dovrebbero essere particolarmente severe e tempestive, l’esperienza del passato è desolante: non sono mai state applicate sanzioni nonostante numerose violazioni delle regole.

Il punto più importante da mettere in evidenza è in ogni caso il rischio che le proposte in questione, se messe in pratica, causeranno un rallentamento nella riduzione dei debiti. Forse proprio questo è lo scopo che, dietro le seducenti parole di «flessibilità» o «adeguamento alle situazioni speciali di ogni singolo Paese», viene effettivamente perseguito. In altre parole si vogliono diluire i sacrifici. Di conseguenza restano menomati gli sforzi per ridurre l’inflazione. Si insiste nel ripetere, a ragione, che il ricupero di una certa stabilità dei prezzi deve essere favorito da una politica fiscale corretta, tuttavia le procedure suggerite dalla Commissione europea vanno nella direzione opposta.

Ci si domanda inoltre che senso abbia mantenere formalmente l’obbiettivo di un indebitamento massimo del 60% rispetto al prodotto interno lordo di un anno. Con gli allentamenti in vista quella percentuale sembra appartenere al mondo dei sogni. A quanto si dice molti Paesi avrebbero voluto sopprimerla ma il loro desiderio sarebbe stato contrastato da Germania e Olanda.

La tortuosità dei comportamenti si comprende pensando che le istituzioni europee sono costrette a muoversi in una situazione compromessa. Se l’importo dei debiti assunti nei decenni scorsi fosse stato meno pesante, anche avvenimenti straordinari, come la pandemia ed i problemi energetici, sarebbero risultati sopportabili per le finanze degli enti pubblici. Il caso della Svizzera lo ha dimostrato. Per citare un caso opposto, l’Italia deve vedersela invece con un indebitamento di 2.742 miliardi di euro, pari al 151% del prodotto interno lordo di un anno. Purtroppo si pagano le conseguenze dell’imprevidenza passata. Come del resto è avvenuto con l’inflazione: se le politiche monetarie degli ultimi dieci anni fossero state corrette, anche la guerra scatenata della Russia in Ucraina, pur causando un sensibile aumento dei prezzi del petrolio e del gas, non avrebbe prodotto una impennata così violenta come quella subita in questi tempi. Certamente non avrebbe portato il rincaro, per esempio, nel caso dell’Europa, all’«orrenda» percentuale del 10,6%.

Di fronte alle esitazioni e alla scarsa coerenza nel combattere il rincaro sorge un sospetto: non sarà che, dietro i continui e solenni proclami dei banchieri centrali a favore della stabilità dei prezzi e le promesse di perseguirla con ogni mezzo, si celi un certo compiacimento in quanto lo svilimento del denaro riduce in termini reali l’indebitamento e contribuisce a risolvere il problema delle nazioni imprevidenti? Che per i creditori ciò rappresenti una inammissibile sottrazione di ricchezza e che nel periodo medio o lungo generi distorsioni nell’attività economica, sembra preoccupare poco o nulla.