In risposta ai dazi, ampliare il libero scambio

Nella linea di difesa contro i dazi USA è mancato sin qui un tassello importante, quello di una forte spinta verso l’ampliamento del libero scambio tra i molti Paesi disponibili. I tanti colpiti dal protezionismo aggressivo di Trump si stanno difendendo quasi esclusivamente sugli altri due terreni: i negoziati con Washington e la definizione di dazi di risposta contro gli Stati Uniti. Si tratta di campi resi entrambi necessari dal quadro attuale, ma non sufficienti se si cerca di avere una prospettiva di spessore e di lungo periodo. Il tavolo delle trattative sulle azioni per commerci nel mondo dovrebbe avere almeno tre gambe, due sono un inizio ma da sole non bastano.
Gli USA sono la maggior potenza politico-militare e la principale economia mondiale, su questo non piove. Ma non sono soli sul pianeta e ciò significa da un lato che hanno anch’essi bisogno in una certa misura di scambi e dall’altro che le maggiori aree economiche non USA devono sì limitare ora i danni dell’offensiva di Washington, ma devono anche guardare con occhio più largo al presente e soprattutto al futuro. Trump è previsto come presidente ancora per tre anni e mezzo. Davanti alle altre aree economiche ora c’è dunque un tempo non proprio breve, che dovrebbe a maggior ragione indurre a pensare non solo a questi mesi ma anche agli anni a venire. Occorre adesso difendersi nei negoziati imposti da Trump, ma bisogna anche saper guardare più in là.
Senza offesa per gli altri, prendiamo in questa sede due aggregati economici di rilievo colpiti dai dazi USA. Uno è quello dell’Occidente vero e proprio insieme all’Oriente «occidentale», che va dal Canada al Giappone e altri Paesi dell’Asia-Oceania, passando naturalmente per l’Europa, Svizzera inclusa. L’altro è quello dei BRICS, che ai cinque membri tradizionali (Brasile, Russia, Cina, India, Sudafrica) ne ha aggiunti altri cinque e altri ancora potrebbe aggiungerne nella prossima fase. Questi due grandi aggregati sono diversi tra loro e sono anche molto differenziati all’interno, è chiaro. Ma i Paesi che ne fanno parte sono e saranno tutti colpiti, in varia misura, dai dazi americani.
Gli Stati Uniti con targa Trump non vogliono procedere nello sviluppo del libero scambio e impongono complicate trattative commerciali bilaterali (così la forza USA è ancora più marcata). Si sa che, in questo modo, anche nella migliore delle ipotesi ci saranno più dazi di prima e che gli scambi avranno quindi più freni. Per ora però niente e nessuno può impedire ai due grandi aggregati, e ad altre aree, di ampliare gli accordi di libero scambio già esistenti e di farne altri ancora. Questo sia tra Paesi dello stesso aggregato, sia con Paesi dell’altro aggregato o comunque di aree diverse. Dove ci sono fattori politici specifici che impediscono accordi (pensiamo ad esempio alla Russia che ha invaso l’Ucraina) non si può procedere. Ma in molti casi si può e si dovrebbe fare. La Svizzera ha già parecchi accordi di libero scambio e recentemente ne ha annunciato un altro, con il Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay). Con quest’ultimo l’Unione europea ha pure sottoscritto un accordo di partenariato.
Bene per questi e per altri passi del genere, ma bisognerebbe andare oltre, a fare queste cose dovrebbero essere molti più Paesi, con accordi commerciali ben più ampi. Sta prendendo forma un mondo in cui gli USA sono e saranno, quantomeno per i prossimi tre anni e mezzo, radicalmente protezionisti. Con questa linea trumpiana qualcosa ci rimetteremo tutti. Americani compresi e questo è un ulteriore paradosso. Visto che con gli USA non si può, sarebbe più che opportuno che i molti che non si riconoscono in questa onda di protezionismo difendessero fortemente il libero scambio nei rapporti economici che hanno tra loro. È una fase cruciale anche da questo punto di vista.