L'editoriale

La dicotomia tra Oriente e Occidente sulla COVID

Il Vecchio Mondo, riguardo alla pandemia, «ha svoltato», e sarebbe scorretto e ingeneroso definirlo un azzardo
Paride Pelli
05.05.2022 06:00

La dicotomia tra Oriente e Occidente nella gestione della pandemia è oggi più lampante che mai. Ma anche all’interno dell’Europa si sono registrate nelle ultime settimane strategie differenti e finanche opposte, tra chi ha abolito le restrizioni (prima fra tutte la Danimarca, che oltre tre mesi fa ha pure sospeso il programma di vaccinazioni) e chi è rimasto, per scelta, «sulle barricate» o quasi, come l’Italia, che da poco, dall’inizio di maggio, ha sì detto addio al Green Pass, ma mantenendo l’obbligo delle mascherine al chiuso in alcuni contesti.

Al di là della necessaria prudenza, il Paese nostro vicino - segnato indelebilmente da oltre due anni di incubo sanitario - si sta rivelando ancora impaurito e nel profondo timoroso, come dimostra il fatto che la stessa mascherina venga indossata da molti italiani perfino all’aperto. È il tormentato retaggio di un biennio contraddistinto da un numero di drammi e di morti tra i più alti al mondo.

Se l’Italia sta dunque uscendo in modo comprensibilmente più lento e apprensivo dal tunnel della pandemia, nel resto d’Europa è come se il coronavirus non esistesse più, sebbene continui a provocare morti (che ora, per fortuna va sottolineato, sono in nettissimo calo rispetto al passato) un po’ in tutti gli Stati. Insomma, il Vecchio Mondo, riguardo alla pandemia, «ha svoltato», e sarebbe scorretto e ingeneroso definirlo un azzardo. Piuttosto, è il legittimo desiderio, accompagnato da ragionevolezza e responsabilità, di lasciarsi alle spalle due anni di sacrifici e di rinunce, e di forti tensioni sociali - nel profondo forse non completamente placate - per far ripartire l’economia e per prepararsi, purtroppo, a guadare quel fiume di preoccupazioni economiche e politiche che la guerra in Ucraina porta con sé e che ogni giorno pare allargarsi sempre di più.

Per ragioni imperscrutabili, sta avvenendo invece l’esatto contrario in Cina, dove il Governo ha deciso di perseguire con spaventosa determinazione e ostinazione la strategia «zero COVID» pure a fronte di una diffusione contenuta della variante Omicron, peraltro la meno pericolosa in termini di letalità. Una decisione controcorrente che ha fatto scoppiare proteste e incidenti a Shanghai, dove gli abitanti si ritrovano letteralmente imprigionati nei propri appartamenti, sottoposti a test di massa e a una sorveglianza digitale strettissima, con non pochi problemi persino nell’approvvigionamento alimentare. Per tacere della paralisi di numerose attività mercantili nazionali e internazionali, con il porto di Shanghai praticamente «off limits».

Un grande dispiegamento di forze (e di dispotismo) che non pochi analisti internazionali considerano eccessivo e inutile: i contagi in Cina non si stanno infatti azzerando e anzi ne vengono scoperti di nuovi anche al di fuori delle aree in lockdown, tanto che anche Pechino adesso sembra a forte rischio chiusura. Che il vaccino cinese, secondo il Governo somministrato all’86% della popolazione, non sia performante come quelli elaborati in Occidente è ormai lapalissiano, ma spiega solo in parte questa drammatica situazione sociale ed economica in corso nel gigante asiatico. Ex oriente lux, dice un motto latino: vedremo nei prossimi mesi quanto sarà vero. 

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