Il commento

La grande confusione nella vicenda dei dazi

La questione delle tariffe non è chiusa, è solo sospesa: anche se minori rispetto agli annunci iniziali, nuove barriere creeranno comunque ostacoli in più a commerci e crescita
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
17.05.2025 06:00

La questione dei dazi non è chiusa, è solo sospesa. Anche se minori rispetto agli annunci iniziali, nuove barriere creeranno comunque ostacoli in più a commerci e crescita. Sono due punti che occorre tenere fermi, per affrontare con consapevolezza la grande confusione originata dall’offensiva del presidente USA Trump, condotta a suon di proclami aggressivi e di parziali marce indietro, di accordi sanciti con strette di mano improvvisate e di contenuti in gran parte da chiarire. C’è stato sollievo a livello sia politico sia economico - mercati finanziari inclusi - per i primi accordi degli USA con il Regno Unito e la Cina, questo secondo raggiunto a Ginevra, in terra elvetica. C’è la speranza che la spirale di protezionismo non vada troppo in là e che altri accordi, anche per la Svizzera e l’Unione europea, siano possibili. Ma la speranza, pur legittima, non può coprire il fatto che le intese sin qui annunciate sono incomplete e ben al di sotto delle esigenze. Per quel che riguarda il Regno Unito, l’Amministrazione Trump ha affermato che ricondurrà il più possibile verso il 10% i dazi in più settori, ma ha chiesto e ottenuto maggiori acquisti britannici per alcuni prodotti USA; la riduzione degli ostacoli ai commerci tra le due parti è per ora un’affermazione di principio ed è stato dichiarato che molti aspetti dell’accordo dovranno essere affrontati più avanti. Per quel che concerne la Cina, c’è l’eliminazione dichiarata di alcuni dazi USA e la sospensione di 90 giorni per altri. Anche qui, molti aspetti dovranno essere discussi. Washington e Pechino hanno ridotto per ora di 115 punti percentuali i rispettivi dazi, la cifra fa impressione ma occorre considerare che si era andati nel surreale: 145% di dazi USA e 125% di dazi cinesi erano in pratica il blocco dei commerci. Il ritorno a un 30% americano e a un 10% cinese fa uscire dalla fantascienza ma non è la soluzione, sono comunque dazi alti. È un ragionamento che occorre fare anche più in generale: pure se Trump applicasse dazi minimi “solo” del 10% al resto del mondo (e ciò resta da vedere), ebbene l’economia globale, Stati Uniti inclusi, subirebbe effetti negativi non piccoli.

Nel frattempo la credibilità degli Stati Uniti sta calando. Tra le prove ci sono la discesa del dollaro e le turbolenze sui titoli pubblici americani. E se c’è chi pensa che il dollaro basso faccia comodo a Trump per aiutare l’export USA (e in realtà però rende ancor più caro un import già appesantito dai dazi), risulta difficile ritenere che al presidente USA piacciano anche le difficoltà dei titoli del Tesoro, considerando le necessità di rifinanziamento dell’enorme debito pubblico americano. Con dollaro più debole, titoli di Stato meno richiesti e tassi di interesse non ridotti (la Federal Reserve sta cercando di non tagliarli, perché teme l’inflazione) la situazione dei conti USA non è certo ideale. Se a ciò si aggiunge la contrazione del PIL americano nel primo trimestre di quest’anno, il quadro appare ancor più complesso. Nonostante questo, il presidente Trump continua nel suo andare avanti e indietro, rendendo sempre più difficile il poter credere che la confusione da lui creata sia realmente sotto controllo.

Mentre resta aperto il pesante capitolo dei dazi, Trump ha anche sollevato la questione della riduzione secca del prezzo dei farmaci negli USA. Ora, l’obiettivo di avere molti farmaci e tutti a prezzi più bassi è naturalmente comprensibile e non è peraltro solo americano, lo sappiamo. Tutta da vedere è però la via attraverso cui si persegue l’obiettivo; mettere alle strette le industrie farmaceutiche, comprimendone fortemente i margini, può provocare rischi non secondari in termini di interruzione della ricerca legata ai farmaci e anche di posti di lavoro nel settore. È chiaro che bisogna trovare altre vie per raggiungere l’obiettivo, anche con cambiamenti in un sistema sanitario che negli USA più che altrove ha limiti marcati. In attesa di dosi di ragionevolezza, le incertezze e la confusione rimangono.