L'editoriale

La guerra che torna a farsi sentire

La notizia del missile caduto in Polonia ci ha fatto temere il peggio
Paride Pelli
17.11.2022 06:00

 

Quanto accaduto nella sera di martedì al confine tra Ucraina e Polonia non fa che acuire i nostri sentimenti di impotenza e di fragilità davanti a una guerra di cui, negli ultimi mesi, si è parlato soprattutto per le gravi conseguenze economiche che sta provocando in Europa. Una guerra che, l’altro ieri sera, è però tornata a farsi sentire anche come minaccia sul piano militare e civile. Sono state ore di vera tensione, che hanno rivelato quanto i nervi di tutto l’Occidente siano tesi come corde di violino. Alcuni media ci hanno messo del loro, partendo lancia in resta con l’assegnare un passaporto ai missili caduti su Przewodow, tra chi li ha subito ritenuti un inequivocabile gesto di sfida del Cremlino alla NATO e chi - la minoranza - un tragico errore di calcolo balistico. Solo una riflessione a proposito, in attesa che vengano naturalmente ricostruite la dinamica e le responsabilità: in un periodo storico delicatissimo come quello che stiamo vivendo, i media dovrebbero alimentare meno il fuoco delle paure (pochi istanti dopo l’accaduto, il sito di una prestigiosa testata europea già apriva con un titolo fuorviante come «Guerra in Europa») e sforzarsi, invece, di verificare i fatti quando possibile - non è certo facile districarsi tra propaganda e «fake news» - oppure, nel mentre che si effettuano i controlli, evitare di pubblicare conclusioni affrettate.

Ma torniamo agli eventi. Al di là di ciò che si poteva leggere in quelle ore, ciascuno di noi, nessuno escluso, ha sentito un brivido lungo la schiena. Un missile che uccide due persone e distrugge un’azienda agricola in uno Stato non belligerante è la classica scintilla che rischia di appiccare il fuoco a tutta la foresta. La mente è corsa all’attentato di Sarajevo del 1914 (pretesto con cui si scatenò la Prima guerra mondiale) o ad altri momenti della Guerra fredda, all’inizio degli anni Sessanta. E anche martedì sera a Przewodow, est della Polonia, abbiamo rischiato che gli avvenimenti prendessero una piega drammatica, e questo solo pochi giorni dopo un segnale incoraggiante e distensivo che sembrava aprire finalmente con convinzione ai negoziati di pace, ossia il ritiro delle truppe russe da Kherson.

Costretti a bordo di un simile ottovolante, accogliamo con un sospiro di sollievo quella che sembra, al momento, l’ipotesi più accreditata, rafforzata ieri dalle dichiarazioni del presidente polacco Duda - «Probabilmente si è trattato di uno sfortunato incidente» – e della NATO – «Secondo le indagini preliminari l’incidente è stato provocato da un missile ucraino di difesa anti-aerea». Come dire, questa volta ci è andata bene. Ma il sentimento di frustrazione e impotenza che dicevamo all’inizio si è indubbiamente rafforzato, ha fatto un ulteriore passo avanti nel nostro animo. Da questo punto di vista, il cittadino comune in Europa, che sta già a suo modo pagando le conseguenze del conflitto, non può fare granché, se non esprimere - in particolare in Svizzera - la propria propensione alla fine delle ostilità. Tenere sotto controllo il senso di frustrazione per qualcosa di più grande di noi che sta modificando le nostre vite e creando ansie non certo immaginarie sarà il compito principale di ognuno. Un po’ come abbiamo fatto, a ben pensarci, con la pandemia. In soli tre anni, intanto, il mondo ci appare completamente stravolto: con ogni probabilità non saremo mai più gli stessi, ma questo non vuol dire che non possiamo metterci alla ricerca di vecchie o nuove forme di serenità. 

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