La Posta di Carlo Silini

Il cibo tra "sgrammatura" e sprechi

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Carlo Silini
30.07.2022 06:00

Sugli scaffali dei supermercati (e non solo) il prezzo non cambia, così come nello scontrino di acquisto. Cambia però la quantità di prodotto presente nella confezione. Si chiama «sgrammatura» ed è forse l’inflazione più iniqua, quella che i brand di prodotti di ogni genere scaricano sui consumatori (eterna ultima ruota del carro) in modo tacito e latente. Secondo ricerche di mercato solo i più attenti (pensionati e cacciatori di offerte) si accorgono di questo fenomeno, a parte ovviamente vecchi aficionados della «spesa proletaria», quella che si fa senza passare alla cassa o pagando un terzo degli acquisti. Insomma, dalla pasta alle patatine, carta igienica o yogurt, la furbata è così diffusa che in Italia le associazioni di difesa dei consumatori hanno già presentato esposti a Procure e Antitrust per denunciare l’inflazione occulta che non ha alcun nesso con l’impennata dei costi energetici di questi ultimi mesi. Se fra le mire dei soliti noti c’era pure quello di sostanziare le «sparate» anti Putin sui media embedded, il giochetto ha avuto fiato corto, almeno a sud. E da noi, tranquilla provincia lombarda extra muros, come siamo messi?

Carlo Curti
Lugano

Caro Carlo Curti, imparo una nuova parola. Non conoscevo il vocabolo «sgrammatura», ma il significato è chiarissimo. Una volta c’era il macellaio furbetto che ti metteva le fette di prosciutto sulla bilancia premendo invisibilmente il piatto col polpastrello per far figurare un peso superiore a quello reale, oggi compri il pacchetto di farina allo stesso prezzo dell’ultima volta senza renderti conto che c’è dentro meno farina. Per sé non è una truffa, visto che sulle confezioni bisogna dichiarare il peso del prodotto, ma chi va a verificare? Un trucchetto di vendita piuttosto subdolo, in effetti, ma non ho idea di quanto sia diffuso in Ticino, dove – per quanto abbia cercato – non mi risulta che esistano informazioni ufficiali su questa forma di inflazione nascosta. Ci stanno fregando? Un po’ sì. E l’idea che mi diano meno cibo di prima facendomelo pagare come prima mi infastidisce. Ma c’è un’altra idea che sopporto ancora meno: quella dello spreco. Leggo sul sito https://savefood.ch/it/spreco-alimentare.html che nel nostro Paese «dal campo al piatto, un terzo delle derrate alimentari va perduto». Più nel dettaglio, «per il consumo di derrate alimentari in Svizzera, vengono prodotti ogni anno 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari in tutte le fasi della catena alimentare nel nostro Paese e all’estero. Le parti non commestibili come le ossa sono già escluse dal calcolo. Tutti questi rifiuti alimentari potrebbero essere evitati». Senza contare che «la produzione di derrate alimentari è costosa, richiede tempo e risorse limitate, preziose e inquinanti». Infatti, in Svizzera, l’alimentazione è responsabile di circa il 30 per cento dell’intero inquinamento ambientale. Lo so, stiamo parlando di due temi diversi, ma sempre di cibo si tratta. Giusto arrabbiarsi se ce ne sottraggono un po’ con trucchi da saltimbanco. Ma sacrosanto indignarsi se, quando ne abbiamo in abbondanza, lo sprechiamo in maniera così clamorosa.