La posta di Carlo Silini

Ma che cos'è la mondanità spirituale di cui parla il Papa?

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Carlo Silini
11.04.2022 06:00

Caro Carlo, mi ha lasciato ammirato la disponibilità di Papa Francesco ad apparire recentemente in uno show. Che cosa dobbiamo intendere esattamente per spirito mondano che pervaderebbe la gerarchia della Chiesa?

Ottavio Lurati, Gentilino

La risposta

Caro professor Lurati, molti telespettatori hanno apprezzato – come me e come lei – l’intervista televisiva di papa Francesco nel programma di Fabio Fazio Che tempo che fa (Rai3) lo scorso 6 febbraio. Il Papa non era fisicamente nello studio della trasmissione, ma rispondeva al presentatore in collegamento video da Casa Santa Marta, in Vaticano, dove risiede. C’è però anche chi ha avuto da ridire, considerando indecoroso, per un pontefice, partecipare a un talk show televisivo (la prima volta nella storia del papato) neanche fosse Mahmood, Belen Rodriguez o un vippuncolo qualsiasi da reality show. Come se apparire, virtualmente, nel salotto di Fazio in un qualche modo lo sporcasse, sminuendo il prestigio del suo ruolo di guida spirituale planetaria. Io penso, invece, che Papa Francesco abbia fatto bene ad accettare l’invito, così come quello che credo sia il suo massimo Ispiratore, duemila erotti anni fa, accettava gli inviti dei pubblicani e le attenzioni delle peccatrici. Mi pare coerente col suo modo tutto gesuitico e tutto argentino di essere un pastore della gente e fra la gente. «ll pastore, deve puzzare di pecora», deve cioè condividere la vita con il suo gregge, ha detto una volta Bergoglio. Di pecora, aggiungo io, non di incenso. Ovviamente, partecipare a un talk show non vuol dire puzzare di pecora, ma entrare nel mondo « balocchi e profumi» dello spettacolo. Sembrerebbe una contraddizione, se non fosse che in questa inattesa presenza papale nei palinsesti della RAI non c’era nulla di mondano. Era il «solito» Papa Francesco, un po’ serio e un po’ sorridente, pacato, rispettoso, sempre molto umano. E predicava, per una volta, da un salotto televisivo che gli permetteva di raggiungere – forse – molte più persone di quante si colleghino ogni domenica alla tv per vedere il suo saluto a piazza San Pietro. Un modo, quindi, per raggiungere anche la «pecorella smarrita» della famosa parabola (cfr. Matteo 8,12-14 e Luca 15,4-7). Che cos’è, allora, lo spirito mondano che pervade la gerarchia cattolica di cui Bergoglio ha parlato anche in quella intervista? Secondo me è l’esatto contrario dell’umiltà. È, cioè, quell’atteggiamento di superiorità morale che a volte trabocca dal contegno sussiegoso di certi ecclesiastici e credenti sempre a caccia di peccati da condannare più che di felicità da condividere. Il Papa lo chiama anche «trionfalismo»: «Il trionfalismo – ha detto la Domenica delle Palme di tre anni fa – vive di gesti e di parole che però non sono passati attraverso il crogiolo della croce; si alimenta del confronto con gli altri giudicandoli sempre peggiori, difettosi, falliti… Una forma sottile di trionfalismo è la mondanità spirituale, che è il maggior pericolo, la tentazione più perfida che minaccia la Chiesa». Ipse dixit.