La posta di Carlo Silini

Siamo tutti schiavi dello smartphone

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Carlo Silini
08.07.2022 06:00

Interessante la tua recente riflessione sugli intellettuali eclissati da VIP e influencer. La condivido in toto. Ma, ormai, più che una riflessione sul presente è una constatazione di un punto d’arrivo. Purtroppo sono ormai almeno due decenni che chi più ha soldi, più urla, più rappresenta l’apparire e più esprime valori spesso vuoti è diventato il nuovo vate. Oggi, coi social di vario genere, il tutto non solo si è affermato ma si è pure cristallizzato. Al punto che si è pronti ad uccidere piuttosto che perdere l’oggetto più importante di una vita, ovvero lo smartphone, e ad aggredire per accaparrarsi un paio di scarpe o a morire per poter fare un selfie sull’orlo di un precipizio.

Francesco Mismirigo, Locarno

La risposta

Caro Francesco Mismirigo, nell’ormai lontanissimo 1964 (quindi alcuni decenni prima della nascita di internet e dell’esplosione dell’online in tutte le declinazioni che conosciamo oggi) Umberto Eco pubblicava un saggio che ha fatto storia: Apocalittici e integrati. In questo testo adombrava due atteggiamenti antitetici di fronte alle nuove tecnologie, definendo «apocalittici» gli intellettuali che esprimevano un atteggiamento critico e snob nei confronti della moderna cultura di massa, e «integrati» quelli che ne avevano una visione ingenuamente ottimistica. A distanza di 58 anni, il suo discorso non perde di attualità. Vediamo entusiasmi smisurati per tutto ciò che genera «click» e diventa virale, indipendentemente dalla sostanza che veicola in rete. In questo senso c’è da restare sgomenti di fronte al successo mediatico della violenza verbale, dell’ignoranza e dell’arroganza e, appunto, degli urlatori di valori vuoti, che pullulano nei social. Nello stesso tempo assistiamo a lamentazioni al limite della paranoia sul condizionamento mentale degli adolescenti attaccati tutto il giorno al telefonino e, in generale, a supporti informatici vari. Come se noi adulti non ci fossimo persi, ormai da anni, nei vortici dei «social per vecchi» (come i ragazzi definiscono Facebook) e delle chat d’ufficio, di famiglia, del gruppo del country o della palestra. Andate in una sala d’aspetto qualsiasi e guardatevi attorno: vedrete ragazzini, genitori e sempre più spesso anche nonni, con la piega del collo a novanta gradi per fissare, ipnotizzati, lo schermo dello smartphone. Insomma, l’impatto delle «nuove» tecnologie nelle nostre vite quotidiane è andato troppo oltre perché qualcuno – a parte gli indigeni di qualche tribù sperduta in una foresta senza copertura wifi – possa credibilmente chiamarsi fuori dal digitale. Quindi sì, il fatto che gli intellettuali siano stati retrocessi al quarto o al quinto posto nella classifica dei veri influencer sociali è una constatazione di un punto di arrivo in cui tutti, nessuno escluso, in realtà fanno parte di un solo esercito: quello degli «integrati». Al massimo possiamo ambire ad essere integrati dissidenti. Forse è proprio questa la vera missione che attende le menti più brillanti del pianeta: diffondere gli strumenti critici che ci permettano di non diventare schiavi dei nostri dispositivi digitali.