La Posta di Carlo Silini

La stampa è libera finché ce la fa

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Carlo Silini
04.05.2022 06:00

Caro Carlo, celebrata ogni anno il 3 maggio, da quando venne istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 1993, la Giornata mondiale della libertà di stampa, sancita dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani e nella nostra Costituzione federale dall’articolo 17, rappresenta un’occasione per richiamare l’attenzione, allertare e sensibilizzare l’opinione pubblica su questo diritto fondamentale, che è pietra angolare della Democrazia (dovrebbe !). Quest’anno la ricorrenza coincideva con l’anniversario della storica Dichiarazione di Windhoek (3 maggio 1991) sul pluralismo e l’indipendenza dell’informazione (idealismo-idea-lavoro dei giornalisti africani). Il CdT ha onorato (con un editoriale di Osvaldo Migotto, ndr) questa ricorrenza, ma oltre a questo, cosa dice e pensa lei della libertà di stampa, diritto all’informazione inTicino?
Graziano Carnielli Bellinzona

Caro Graziano Carnielli, la libertà di stampa è quella strana cosa per cui c’è qualche mio collega che prende e va in Ucraina dove cadono le bombe e prova a raccontare quello che vede perché delle narrazioni russa e ucraina del conflitto non ci si può fidare. È rischiare la pelle, la galera o anche solo il posto per cercare di far chiarezza quando tutto è buio e sei immerso in cori da stadio acritici, culti della personalità, dittature o «democrature», cioè regimi eletti democraticamente che, una volta al potere, mettono regole a causa delle quali nessuno osa più esprimere dissenso (e chi lo fa - media e giornalisti in primis - finisce male o sparisce, che spesso è la stessa cosa, solo che non lo si sa). E la Svizzera? Secondo l’ultimo rapporto di Reporter sans frontières (RSF) il nostro Paese è al 14. posto nella classifica dei più virtuosi (capitanata dai soliti scandinavi). Siamo scivolati in giù di 4 posizioni rispetto al 2021. Il peggioramento, dice RSF, è dovuto a un quadro legislativo in cui il moltiplicarsi di provvedimenti provvisionali richiesti contro i media dimostra che la Svizzera non è al riparo dalle cosiddette procedure «museruola». Inoltre, nei due scorsi anni c’è stato un picco di insulti e aggressioni fisiche contro i giornalisti, soprattutto durante le manifestazioni contro le misure anti-COVID. Non saremo messi benissimo, d’accordo, ma c’è ben di peggio: in Russia o in Corea del Nord se dici o scrivi quello che pensi rischi la prigione o il «cappotto di legno». Lei però mi chiede del Ticino e ribadisco che il nostro cantone non fa eccezione nel panorama nazionale. Una cosa deve tuttavia preoccuparci: la situazione economica e il calo della pubblicità, che rappresenta una fonte di guadagno essenziale per i media. Nel 1988 in Ticino c’erano 7 quotidiani, oggi ce ne sono 2; 3 se si aggiunge il gratuito. Il no popolare all’aiuto ai media ha reso indirettamente più fragile la libertà di stampa. Mettere a rischio la sopravvivenza delle testate medio piccole significa porre le condizioni per ridurre la varietà delle fonti di informazione, ergo la libera circolazione delle opinioni. E il dibattito democratico ne esce impoverito.