Situazioni, momenti, figure

L'anarchico conservatore

Giuseppe Prezzolini: una personalità geniale, precisa ma molto spigolosa, che si irradiava fra saggistica e giornalismo, facendone uno degli innovatori della comunicazione
Salvatore Maria Fares
Salvatore Maria Fares
22.07.2022 06:00

Due suoi anniversari hanno avuto attenzione sui media. Nacque nel 1882 e morì centenario a Lugano nel luglio di quaranta anni fa. Il giornalismo italiano con lui entrò nella modernità poiché seppe staccarsi dalle modalità correnti aprendo le strade a un pensiero più libero e per farlo fondò una rivista, La Voce. La rievocazione di Giuseppe Prezzolini alla RAI ha raccolto un alto numero di telespettatori, anche qui, dove visse gli ultimi vent’anni della sua vita. Una personalità geniale, precisa ma molto spigolosa, che si irradiava fra saggistica e giornalismo, facendone uno degli innovatori della comunicazione. Scelse di vivere qui per stare lontano dalle bagarre italiane ma tenendo sempre gli occhi sull’Italia. Già in precedenza era andato oltre i cortili della penisola e visse negli Stati Uniti, dove l’oceano delle mutazioni offriva tanta acqua al mulino delle sue pagine costruttive. Ha colpito alcuni spettatori nostrani la sua autodefinizione di «anarchico conservatore», un’apparente contraddizione che aveva però le sue ragioni nel costante rispetto delle regole fondamentali del comportamento sociale ma che doveva essere comunque governato da regole proprie nel modo di pensare, in libertà fra il nuovo e la tradizione liberale ordinata dalla logica. Oggi è facile trovare in Internet la vita e le opere di questo spiritaccio innovatore in sintonia, pur diversa, con le mutazioni portate dalle avanguardie, come il Futurismo, ma restava nella disciplina della chiarezza e della forma. Ecco in questo un aspetto del suo conservatorismo. L’anarchismo stava nello sfidare con idee e concetti ogni conservazione che portava muffa e cose già trite e ritrite anche di alcuni accademici. Fu ammirato e seguito da tantissimi lettori ma fu in polemica accesa con tanti «pennivendoli» o numi del giornalismo. Il più noto fu il suo vecchio compagno di penna Giovanni Papini, che aveva fondato la rivista Lacerba, che giungeva anche qui. Portavano scontri produttivi. Queste erano genialità in battaglie senza sangue. Fra le istanze propugnate c’era l’assoluta libertà di circolazione e di esplosione di ogni forma di genialità, sottintendendo che il mito del superuomo implicava la genialità critica, che aveva diritto di espressione. Sono firme ormai distanti ma aprirono strade alle generazioni di allora che vivevano le nuove forme espressive anche rivoluzionarie nell’arte e nelle lettere. Senza il Futurismo, quando Prezzolini era già trentenne ma già maturo e attivo, chissà quanti artisti europei sarebbero rimasti con le mani un po’ legate dalla tradizione nonostante i molti innovatori europei, coraggiosi e geniali. Il giornalismo italiano con lui salì sul treno dell’opinionismo e anche i quotidiani più austeri avvertirono la necessità di qualche cambio di locomotive. Ho già ricordato in un libro la sua presenza a Lugano, dove aveva casa in via Motta, quasi in faccia al lago, ma l’appartamento al primo piano non era particolarmente luminoso. Negli ultimi mesi della sua esistenza, mancata la moglie, in quella casa lo confortò una religiosa, intenta a ordinare ciò che restava delle lettere, degli articoli, dei saggi: Suor Margherita Marchione, che lui negli anni 50 aveva definito «la mia pianticina» e che diventò cattedratica. Mi colpì il suo vivere nel piccolo, quasi in regime claustrale. Del resto, se a New York aveva vissuto in una mansarda si intuisce che lo spazio e l’arredo lo interessavano poco. Quando Spadolini venne a trovarlo nel febbraio del 1981, quella strada tranquilla si infuocò di luci azzurre roteanti, di rombi di motociclette, di auto ministeriali. Fu un incontro fra due belle teste. Uno era il primo presidente del Consiglio italiano prodotto dalle stagioni politico culturali anche prezzoliniane, e Prezzolini aveva animato la storia culturale italiana dall’inizio del Novecento e aveva continuato a polemizzare con sagacia da molte pagine, fra le quali quelle del lettissimo Il Borghese. La sua firma appariva regolare su Gazzetta Ticinese; leggeva i miei articoli e ne ero turbato. Concesse un paio di interviste alla nostra Radio. Quando andavo a trovarlo - quattro o cinque volte - mi raccomandava al telefono di «non portare la macchinetta», cioè il registratore che si aprì quindi una sola volta. Mi offriva un liquore di arancio in un bicchierino grande come un ditale. La Biblioteca cantonale conserva il suo archivio e Raffaella Castagnola ha raccolto e curato i suoi taccuini inediti «Faville di un ribelle», riflessioni vivissime.