L'editoriale

Lasciare ai giovani un’AVS solida

I cambiamenti demografici stanno mettendo questo sistema vieppiù in difficoltà
Giovanni Galli
13.09.2022 06:00

L’AVS si basa sul sistema di ripartizione: le generazioni attive finanziano i pensionati. I cambiamenti demografici stanno mettendo questo sistema vieppiù in difficoltà. Nel 1948, quando venne introdotto il primo pilastro, c’erano 6,5 persone attive per ogni pensionato. In pratica, 100 salariati provvedevano con le loro quote a finanziare le rendite di 15 persone uscite dal mercato del lavoro per raggiunti limiti d’età. Questa proporzione è ora scesa a 3,2 attivi per ogni pensionato ed è destinata a ridursi ulteriormente con il pensionamento della generazione del baby-boom. Parallelamente, è aumentata la speranza vita. Le donne vivono mediamente 22 anni dopo il pensionamento, gli uomini 19. Le finanze dell’AVS sono sotto forte pressione perché bisogna pagare più pensionati e più a lungo. Se non si interviene con misure di riequilibrio, i conti sono destinati a chiudere in rosso, nonostante il cuscinetto dei redditi da capitale, già a partire dal 2029. Il buco si allargherebbe negli anni successivi, il fondo di compensazione (la cassa dell’AVS), che oggi ha più soldi delle uscite di un anno, si eroderebbe pesantemente a suon di miliardi. Il nocciolo della questione sta tutto qui: visto che la demografia non la si può cambiare, bisogna agire subito per stabilizzare le finanze almeno fino al 2030, così da continuare a garantire le rendite. Il progetto AVS 21, che non ha nulla di rivoluzionario ma è solo un cerotto ad effetto limitato nel tempo, dà una risposta equilibrata. Perché con l’aumento dell’IVA, che fornirà il grosso dei nuovi finanziamenti, tutte le generazioni saranno chiamate a dare il loro contributo. E perché un cambiamento strutturale, attraverso la parificazione dell’età pensionabile, è una condizione necessaria per una previdenza vecchiaia sostenibile.

Le donne non sono svantaggiate a livello di primo pilastro, dove ricevono in media rendite più elevate rispetto agli uomini. Il problema previdenziale, semmai, è a livello di previdenza professionale, che non è oggetto del voto del 25 settembre. E un voto contrario a causa della mancata parità salariale non darebbe nessun contributo al miglioramento della situazione retributiva delle donne. Lavorare un anno in più non significa ridurre le rendite. In questi dodici mesi si riceve un salario (di regola superiore alla rendita AVS) e si versano altri contributi per il secondo pilastro, con conseguente lieve rafforzamento della situazione personale in vista della vecchiaia. E al compimento del 65. anno la rendita non sarà inferiore a quella percepita oggi a 64. Non si possono fare paragoni con la generazione di transizione che non avendo avuto il tempo di pianificare il pensionamento a 65 anni beneficerà, giustamente, di supplementi a vita o di una minore riduzione delle rendite in caso di pensionamento anticipato. Gli avversari della riforma dicono che un voto affermativo spalancherebbe le porte al pensionamento per tutti a 67 anni, come se fosse già dato per acquisito. È terrorismo a buon mercato. In realtà, sul tavolo c’è solo un’iniziativa sulla quale il Consiglio federale ha già assunto una posizione contraria, che chiede il pensionamento a 66 anni e poi il collegamento alla speranza di vita. La risposta la daranno, se del caso, popolo e Cantoni.

L’AVS non ha un problema di discriminazione ma di finanziamento. La crescita economica (con i relativi aumenti salariali) e della produttività non è sufficiente per sfidare i venti contrari demografici. La situazione finanziaria attuale è abbellita dal contributo supplementare di due miliardi di franchi, votato dal popolo nel 2019. Ma fra tre anni i conti torneranno già in rosso, a dimostrazione che il primo pilastro ha imboccato da tempo un crinale pericoloso e va rimesso, per quanto possibile, in carreggiata. La risposta allo sviluppo demografico è stata finora l’iniezione di risorse, che da sola però adesso non può bastare. Un ulteriore rinvio della soluzione aggraverebbe la situazione. Per evitare il profondo rosso occorrerebbero nuovi aumenti di imposte, risparmi in altri settori e/o maggiori contributi a carico degli attivi. Sminuire la necessità di una riforma, come fanno i contrari, proprio mentre sono in atto grossi cambiamenti demografici è un’operazione fuorviante; mentre chiamare alla cassa la BNS è un atto di marketing, che oltre ad essere fuori luogo in sé non sarebbe in grado di garantire un contributo stabile per sostenere il primo pilastro. L’AVS è stata concepita come patto intergenerazionale. Il progetto AVS 21 lo rafforza. Se a causa di continui pretesti non si interviene adesso, almeno per stabilizzare le cose, il conto ricadrà soprattutto sulle spalle dei giovani (uomini e donne), che erediteranno un’istituzione risanabile solo a un carissimo prezzo.