L'editoriale

L'emergenza migranti riguarda l'intera UE

L’unica soluzione all’emergenza migranti non può essere che europea davanti a un flusso che, dalla sola Africa, è stimato in 300 mila persone l’anno – Una strategia comune con i Paesi africani di partenza
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
21.04.2023 06:00

Due Paesi mediterranei, come la Tunisia e la Libia, costituiscono ormai, nel loro differente disordine politico e militare, un gigantesco cuneo conficcato nell’intera Europa. Da quelle spiagge hanno origine – tra i volti disperati delle persone in cerca di futuro e un coacervo di interessi di altra natura, soprattutto criminale – i maggiori flussi migratori. In Italia sono triplicati in un anno. L’estate si annuncia come una stagione di movimenti quasi biblici. Le previsioni per i prossimi anni sono allarmanti. Eppure noi tutti, a cominciare dai governi, voltiamo la testa dall’altra parte. Nell’illusione che il fenomeno migratorio possa essere gestito con misure nazionali e che sia sempre un problema degli altri. Non c’è una legge risolutiva; non c’è un muro o filo spinato che tenga. La Polonia non volle accogliere, alla frontiera con la Bielorussia, i rifugiati di lontani conflitti e remote carestie. Oggi ospita circa due milioni di ucraini in fuga da una guerra troppo vicina. Nel Regno Unito chi ha votato Brexit sperava di contenere l’immigrazione. È accaduto con gli ex partner europei, non con il resto del mondo. Giorgia Meloni, in campagna elettorale, aveva promesso un blocco navale per fermare le barche degli scafisti. Un’illusione pericolosa. La tragedia di Cutro, in Calabria (88 morti), ha dimostrato che un’azione di polizia non può essere anteposta a un’opera di soccorso, sacra per la legge del mare.

La realtà è più complessa di ogni slogan. Il governo italiano vuole rivedere il regime di protezione speciale che viene concesso a chi non rientra nei requisiti richiesti per i rifugiati ma è vittima di persecuzioni, per motivi religiosi, di tratta o di genere. Qualche abuso ci sarà anche stato, ma si parla di non più di diecimila persone che finiranno in clandestinità o cercheranno di andare altrove. L’Italia è accusata, dagli altri membri dell’Unione europea, di non esercitare i dovuti controlli sui movimenti secondari. Chi arriva sulle coste italiane vuole spesso andare in altri Paesi e ricongiungersi con famiglie o amici. Se non vi sono prospettive di integrazione e i centri di accoglienza sono come lager, la gente fugge. Roma replica spiegando che i suoi confini sono anche europei, che la solidarietà di altri Paesi è stata solo di facciata. Il regolamento di Dublino (definito preistorico da Sergio Mattarella) impone però al Paese di «primo approdo» di farsi carico di tutto. Per modificarlo è necessario il consenso unanime di tutti i membri dell’Unione. Impossibile. A maggior ragione con la presidenza di turno svedese. A Stoccolma ha vinto l’estrema destra. Non si tocca nulla. E pensare che la Svezia è, insieme alla Germania, il Paese che è riuscito, grazie a immigrazioni controllate, ad aumentare il tasso di natalità. In tutta Europa la fecondità scende paurosamente. Nel 2100 (quando chi nasce oggi avrà 77 anni, meno dell’attuale aspettativa di vita) la sola Italia avrà perso 8,8 milioni di residenti, più di tutti i 27 membri. Il Nord dell’Europa non vuole condividere le difficoltà del Sud sospettato – non senza qualche ragione – di inefficienza e furbizia. Tutti però hanno bisogno di manodopera straniera per lavori che i cittadini non vogliono più fare. L’unica soluzione all’emergenza migranti – anche e soprattutto a tutela dell’ordine sociale e della sicurezza – non può essere che europea davanti a un flusso che, dalla sola Africa, è stimato in 300 mila persone l’anno. Una strategia comune con i Paesi africani di partenza. Solidarietà e responsabilità. L’alternativa, oltre al rischio di declino economico, è un grado crescente di disordini e insicurezza. Che non risparmierà nessuno. 

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