L'opinione

L’Europa e il regalo dell’auto alla Cina

Tavares non usa mezzi termini: l’eccesso regolatorio imposto da Bruxelles dopo il Dieselgate è stato un «assalto dogmatico» che ha accelerato una transizione elettrica calata dall’alto
Fabio Regazzi
06.12.2025 06:00

L’articolo apparso sul Corriere del Ticino dedicato al libro di Carlos Tavares - l’ex CEO di Stellantis che conosce l’automotive europeo come pochi - ricorda quanto l’Europa continui a ignorare il cuore del problema. Nel settore dell’auto questa rimozione rischia di costare cara.

Tavares non usa mezzi termini: l’eccesso regolatorio imposto da Bruxelles dopo il Dieselgate è stato un «assalto dogmatico» che ha accelerato una transizione elettrica calata dall’alto, regalando ai costruttori cinesi un vantaggio di dieci anni. Oggi l’Europa insegue, mentre la Cina corre.

Non stupisce che la quota di mercato dei veicoli elettrici resti modesta e che nella top ten europea non compaia un solo modello a batteria. Come ricorda il CdT, il consumatore reale - non quello immaginato dai burocrati di Bruxelles - non è disposto a pagare di più per un’auto che offre meno. Lo conferma anche Gian Luca Pellegrini, direttore di Quattroruote: «Il pubblico non vuole l’auto elettrica». La transizione, aggiunge, è stata «più ideologica che industriale», imposta senza considerare costi, impatto sociale e soprattutto domanda effettiva. La regola base dell’economia («non si regola un mercato ignorando ciò che i consumatori vogliono») avrebbe suggerito di non farlo. Bruxelles l’ha fatto.

Il paradosso è evidente: per finanziare la trasformazione elettrica, molte case europee hanno aumentato i prezzi in modo sproporzionato. In Italia un’auto media costava 18.000 euro nel 2019, oggi 30.000. Risultato: un parco circolante più vecchio, segmenti popolari quasi scomparsi e la crescente percezione - alimentata anche da un ambientalismo ideologico - che l’auto sia un «nemico». Nel frattempo, la Cina inonda l’Europa di modelli elettrici più economici, frutto di una strategia industriale coerente e non auto-lesionista.

Tavares arriva a ipotizzare un futuro spezzatino per Stellantis o fusioni disperate. Pellegrini parla di marchi europei destinati a finire in Asia e ricorda che l’UE è passata in pochi anni da 17 a 11 milioni di immatricolazioni: una contrazione impressionante.

Come si è arrivati fin qui? Per un mix di errori: la miopia di alcuni costruttori e l’ideologia regolatoria di Bruxelles. Ma se le imprese pagano per i propri sbagli, le istituzioni dovrebbero evitare di moltiplicarli.

La scadenza del 2035 per lo stop ai motori termici - che ormai quasi nessuno considera realistica - è il simbolo di una politica climatica scritta più per compiacere un certo moralismo urbano che per rafforzare la competitività europea. La sostenibilità non è l’opposto della razionalità economica: senza quest’ultima diventa un lusso narrativo che l’Europa non può permettersi mentre Stati Uniti e Cina avanzano.

La verità è semplice: la transizione elettrica è necessaria, ma Bruxelles l’ha trasformata in una corsa ideologica e solitaria, dimenticando che i concorrenti - liberi da vincoli autoimposti - stanno correndo molto più veloci. Il tempo per correggere la rotta non è infinito. E la Cina, intanto, non aspetta.