Manovre USA e crisi del debito

I pompieri sono entrati in azione: è ricominciato in grande stile l’aiuto delle autorità monetarie e politiche americane volte a contenere i chiari segnali di tensione nel mercato del credito testimoniato dal buco di 12 miliardi di dollari lasciato dal collasso della società First Brands, attiva nel settore dell’auto. Infatti le autorità di sorveglianza americane hanno «ridotto» la necessità di fondi propri delle banche in modo che possano elargire ancora 2.400 miliardi di crediti e la Federal Reserve ha annunciato che riprenderà ad acquistare obbligazioni americane, sebbene Wall Street, nonostante alcune sedute negative, appaia ancora in piena forma. Queste decisioni indicano che si teme che il livello di indebitamento sia eccessivo e che la liquidità in circolazione non sia sufficiente. Questo giudizio lascia perplessi, poiché la banca centrale americana ha acquistato una notevole quantità di obbligazioni nel marzo del 2023 dopo il fallimento della Silicon Valley Bank che coincise con la crisi del Credit Suisse. Quindi la liquidità in circolazione dovrebbe essere già molto abbondante. In realtà, la nuova fase di Quantitative Easing interviene per finanziare il debito pubblico americano e anche quello privato, di cui si sono perse le dimensioni da quando è entrato massicciamente nel mercato del credito quello che viene chiamato il settore bancario ombra, composto da assicurazioni, fondi di investimento, Hedge Funds, fondi Private Equity, ecc. Ma come sempre accade in economia non si tratta di un intervento che calma la fame dei mercati senza provocare conseguenze. La continua iniezione di liquidità avviene a costo zero, poiché la banca centrale non si fa pagare tassi di interesse per i soldi che crea per comprare le obbligazioni, ma ha l’effetto di pregiudicare la fiducia nel dollaro, nella stabilità dei mercati e anche nelle aspettative di inflazione. Ed è quanto sta accadendo, come mette in evidenza il calo del biglietto verde e la fuga degli investitori in cerca di sicurezza verso l’oro e anche il franco svizzero. E molto probabilmente l’amministrazione Trump è consapevole che queste misure riducono la propensione degli stranieri a investire nei buoni del tesoro americano.
L’amministrazione americana sembra voler superare il calo dell’afflusso di capitali stranieri attraverso la legislazione, chiamata Genius Act, che dallo scorso mese di luglio regolamenta gli stablecoin, che sono le criptovalute agganciate al dollaro. Il legame con il biglietto verde riduce la loro volatilità, ma questo non basta poiché risentono del ribasso del dollaro. Ed è questo il motivo che ne ha ridotto il successo. Quindi adesso i titolari di queste stablecoin chiedono di poter pagare dei tassi di interesse. Ma si sono subito scontrate con l’opposizione delle banche americane che temono di veder compromessi i depositi dei loro clienti. Dunque quest’alternativa studiata dall’amministrazione Trump sembra non funzionare a dovere. Ma quello che sta funzionando e continuerà a funzionare è l’effetto di questa politica monetaria sempre più espansiva che riduce il valore reale (non di cambio) delle monete fiduciarie e dei nostri stipendi aumentando il costo della vita non solo negli Stati Uniti, ma anche negli altri Paesi a causa del peso dominante del dollaro nella stragrande maggioranza delle transazioni internazionali. Anche noi non siamo risparmiati da Donald Trump e non solo per i dazi e per le condizioni capestro imposte alla Svizzera, ma anche per la sua politica monetaria.

