Milioni d'Egitto
La tentazione sarebbe forte: chiedere alla quasi-intelligenza artificiale di mettere in relazione, all’interno di un’unica storia d’invenzione, il piccolo paese di Oggio in Capriasca, lo sviluppo dell’Egitto moderno e i giardini della Villa Favorita. Immagino già i voli pindarici e le impennate della fantasia. Il bello è che una simile storia non ha nemmeno bisogno di essere raccontata, perché ci ha pensato già Danila Nova-Toscanelli per conto della Fondazione Ghirlanda-Lepori, in una piccola ma rigorosa pubblicazione che fa da pendant a una mostra aperta sino alla fine del mese all’Antico Torchio di Sonvico (solo nei finesettimana).
Al quadro bisognerebbe infatti aggiungere anche la famiglia Ghirlanda e il paese di Sonvico, o piuttosto di Dino, da dove proviene uno dei tanti rami che discendono dai Lepori di Oggio. Il più noto, poiché annovera la presenza di un Consigliere federale, è finito a Massagno; un altro si è stabilito a Sala Capriasca, e da lì in parte è passato poi a Giubiasco (da cui deriva modestamente anche il sottoscritto, per parte di madre). I Lepori di Dino non avrebbero forse mai messo la testa fuori dall’acqua dell’anonimato senza la straordinaria avventura biografica di Giacomo (1843-1898), che da un contesto contadino riuscì passo dopo passo – grazie anche al nuovo sistema scolastico cantonale e federale, dal Liceo di Lugano fondato nel 1852 al Politecnico di Zurigo del 1855 – a ottenere il diploma di ingegnere e da lì a spiccare il volo per Parigi prima, e per il Cairo poi.
Decisivo fu per lui l’incontro con Ferdinand de Lesseps, imprenditore francese che sul finire dell’Ottocento si fece promotore di due imprese da nulla: il canale di Suez e quello di Panama (poi completato da altri, ma la visione era sua). Dotato di notevole senso pratico e anche di un giusto fiuto per gli affari, finito il canale Giacomo Lepori rimase in Egitto e costruì un’infinità di edifici più o meno grandi, sia privati che statali, fino a ottenere il titolo di «bey», una sorta di baronetto per meriti del lavoro. E qui inizia la seconda parte della sua storia, con il rientro in Ticino e gli investimenti immobiliari che hanno contribuito a trasformare non solo il paese d’origine, ma anche l’attuale via Pretorio (l’area del futuro tempio massonico, donata dal figlio Antonio) e soprattutto il complesso di Villa Favorita.
Lepori non fu mai proprietario della celebre villa, che dai Riva passò direttamente a Friedrich Leopold von Hohenzollern, e da lì poi ai Thyssen-Bornemisza; il suo merito fu semmai quello di riorganizzare tutti i terreni e gli edifici che le stavano attorno (Villa Jachini, Villa Selvano, La Corbellina, ecc.) dando uno slancio determinante alla definizione del vastissimo parco che conosciamo oggi. Senza Giacomo Lepori e i suoi discendenti, i due chilometri e rotti di passeggiata sul lungolago ce li sogneremmo… E a proposito di sogni, si vorrebbe magari sapere a che punto sono le trattative tra la Città di Lugano e la famiglia Invernizzi, cui non saremo mai sufficientemente grati per avere mantenuto indivisa la proprietà e per avere continuato a migliorarla con investimenti importanti.
A noi ragazzi degli anni Ottanta non spiacerebbe però poter tornare, come facevamo da bambini, a passeggiare tra le rare piante esotiche che contornano il viale d’accesso, a un metro dalla riva del lago. All’epoca, per noi, queste cose contavano assai più degli Holbein e dei Dürer che invece oggi – con il senno di poi – non possiamo che rimpiangere con una fitta al cuore. Si poteva fare di più, e di meglio, per il mantenimento in Ticino di quella straordinaria collezione? Si poteva, ma, appunto, con il «poi». Chissà l’intelligenza artificiale cosa ne pensa dei nostri umanissimi insuccessi del passato.