L'editoriale

Nel volto tragico di Zelensky il vuoto dell’ONU

L'inutile pellegrinaggio del presidente ucraino
Mauro Spignesi
13.03.2022 06:00

Quel suo viso ovale, con un filo di barba, è ormai entrato a far parte del quotidiano di milioni di persone. E fa tenerezza vedere Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina dal 2019, fare la sua processione da una televisione all’altra, pellegrino della disperazione da un Paese all’altro per chiedere, implorare aiuto. Quel volto stremato, scavato dal terrore che appare nei maxi schermi dei parlamenti riuniti di mezzo mondo che gli riservano ovazioni e commozione, è diventato l’icona dell’impotenza, il simbolo del fallimento dei principi umani. Tutti a parole dicono che vogliono aiutarlo mentre le bombe russe spazzano via intere città, uccidono civili, compliscono persino gli ospedali dove ci sono bambini malati di tumore.

Tutti gli dicono bravo, lo applaudono, lo incoraggiano ad andare avanti. Ma tutti restano immobili, e alla fine ammettono di non poter fare nulla. Il presidente americano Joe Biden lo ha ammesso chiaramente: se si interviene in Ucraina sarà una terza guerra mondiale. È un po’ come vedere un amico o un parente che viene picchiato selvaggiamente e non poter intervenire.

I grandi registi hanno sempre detto che un comico può diventare uno straordinario attore drammatico. E Volodymyr Zelensky è diventato questo, la sintesi del tragico nel volto di un ex comico diventato presidente di uno stato che è stato deliberatamente attaccato. Attaccato da un uomo, Vladimir Putin, che sino a ieri grazie a uno straordinario senso di marketing politico era amato da molti esponenti di partiti europei e strappava la simpatia di ampi strati dell’opinione pubblica. Un uomo che oggi si trova solo, con i cieli bloccati, i suoi oligarchi con i conti congelati e gli yacht sotto sequestro, tagliato fuori dal mondo scientifico e culturale, attaccato dagli hacker di Anonymous, «squalificato» da tutti gli sport, e senza neppure la possibilità di mangiare un panino al McDonald’s. Putin paga un prezzo, l’Occidente senza il suo gas e i suoi prodotti agricoli e industriali ne pagherà un altro. Solo alla fine si faranno i conti.

Ma in mezzo a questa guerra, al volto di Zelensky che chiede aiuto, è anche venuto a galla il problema di fondo: cioè l’insostenibile leggerezza dell’Onu, l’incapacità di questo organismo di garantire la pace, il principio per cui è nato. Putin - come altri presidenti autoritari - non è stato fermato prima, grazie a un abile tattica di alleanze (spesso trasversali) e a un gioco di veti incrociati che hanno imballato il Consiglio di sicurezza. L’ONU, come ha osservato l’ex magistrato internazionale Carla Del Ponte, nel dopoguerra ha svolto un lavoro egregio, è stata un caposaldo della democrazia mondiale, ma lentamente ha perso forza, si è indebolita ed è diventata una organizzazione ostaggio delle strategie politiche.

Anche stavolta, come in passato, non riesce a fermare una guerra. Perché ordinando l’aggressione all’Ucraina Putin ha violato - come hanno fatto notare giuristi specializzati in diritto internazionale - principi portanti degli accordi sottoscritti da tutti. In Ucraina è stato violato il rispetto della sovranità degli Stati, il dovere di astenersi dall’uso della forza, l’obbligo di non interferire nelle competenze interne degli Stati, la regola dell’autodeterminazione. Tutto alla luce del sole e al buio delle bombe. Tutto condannato sì, con risoluzioni come quella del Parlamento europeo e dall’Assemblea generale dell’ONU. Ma con parole subito apparse vuote. Se non si farà ripartire la macchina dell’ONU, se non si troveranno ragionevoli compromessi la pace nel mondo anche in futuro sarà perennemente in pericolo. Con o senza Putin.

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