L'editoriale

Nuova missione, vecchie emozioni

A poche ore dall’apertura della seconda finestra di lancio che dovrebbe permettere ad Artemis 1 di decollare dalla piattaforma 39b di Cape Canaveral, si torna a rivivere quella grande storia: vedremo il nostro satellite da vicino
Giona Carcano
03.09.2022 06:00

L’esplorazione dello spazio vive di momenti, di sussulti, di improvvisi balzi in avanti tecnologici. Ma anche di una certa retorica, di uno «storytelling» preciso, finanche di miti costruiti per permettere all’umanità di godere di un pezzetto di quello splendore sconosciuto chiamato Universo. La missione Apollo, oltre mezzo secolo fa, incarnava tutto questo. Il mito, il coraggio, la tecnologia, i momenti, le storie. E i riverberi del programma che permise all’uomo di camminare sulla Luna si avvertono ancora oggi, potenti. Come potente è la spinta a esplorare ciò che ancora non conosciamo.

A poche ore dall’apertura della seconda finestra di lancio che dovrebbe permettere ad Artemis 1 di decollare dalla piattaforma 39b di Cape Canaveral, si torna a rivivere quella grande storia. Vedremo il nostro satellite da vicino, ancora una volta, ma con i mezzi di oggi. Più in là – in questo caso l’orizzonte è il 2025 – potremo poi assistere a un nuovo sbarco sulla Luna.

Un viaggio, quello in programma questa sera, che segna un nuovo inizio per la NASA e le sue consorelle (fra cui l’Agenzia spaziale europea e la Svizzera, che per la missione Artemis hanno fornito componenti fondamentali). Perché, come è stato ricordato, si andrà oltre le «bandiere e le impronte» delle missioni Apollo, oltre quindi a un fondo di propaganda. Il traguardo, fra un decennio abbondante, sarà infatti Marte. Qualcosa di ancora più grande, da compiere stavolta – e questo è un aspetto centrale della cosiddetta «space economy» – in un contesto non più «monopolista», bensì aperto al mercato e ai privati, come SpaceX e Blue Origin.

Eppure, la missione Artemis – perlomeno nella sua prima parte, composta da tre fasi distinte e progressive fino a portare l’uomo sulla superficie lunare – non è priva di rischi. Non solo di funzionamento – lunedì il lancio è stato rimandato per un serio problema a uno dei motori, la stessa criticità riscontrata alcuni mesi fa in fase di test –, quanto di interesse del pubblico. La critica più comune, infatti, è «perché mai dovremmo tornare sulla Luna se ci siamo già stati?». Sembrano quindi intravvedersi gli istanti iniziali e finali del programma Apollo. Da un lato, in origine, ci si chiedeva cosa farsene della Luna con la guerra in Vietnam in corso e i problemi razziali che attraversavano il Paese. Dall’altro, in coda, passata la sbornia spaziale di massa e la vittoria degli Stati Uniti sull’Unione Sovietica, la Luna non interessava più la gente, né tantomeno la politica statunitense. «Le immagini, per quanto incredibilmente buone dal punto di vista tecnico, di paesaggi lunari aridi e astronauti fluttuanti diventano rapidamente ordinarie e persino noiose», scrisse il New York Times nel 1972, al tempo della sesta e ultima missione Apollo capace di portare l’uomo sul satellite, la numero 17. Un epitaffio sulla tomba della corsa alla Luna, morta per scarso interesse e per un colossale taglio di budget. 

Ecco che allora – in un mondo dell’informazione completamente rivoluzionato rispetto a cinquant’anni fa e che mal digerisce i fallimenti –, per cercare di ricreare quel potentissimo legame fra pubblico e lanci spaziali dell’epoca d’oro, la NASA ha studiato alcuni espedienti. Al netto del nome stesso (nella mitologia greca Artemide è la sorella gemella di Apollo), durante la missione Artemis verranno scattate immagini della Terra e della Luna capaci di ispirare le nuove generazioni, sul modello dell’iconica foto catturata da William Anders durante la missione Apollo 8, «il Sorgere della Terra». Un’immagine potentissima, che contribuì alla costruzione di un sogno. Un sogno per fotogrammi, come quello che ci apprestiamo a vivere in diretta. L’inizio di una nuova epoca di missioni lunari che in seguito dovrebbe portare l’uomo oltre i confini di quello che già conosce. Il mito è stato ricostruito. Tocca a noi sentirlo anche un po’ nostro.

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