Pardo d'oro del tutto meritato

Probabilmente il miglior concorso di Locarno degli ultimi anni e un palmarès che rispecchia bene i valori in campo, con un ottimo lavoro della giuria condotta da Lambert Wilson. Il terzo Pardo d’oro all’Iran è decisamente meritato e ricompensa un film che, visto una seconda volta, mette ancora più in evidenza le sue qualità visive e sonore, oltre all’impatto emotivo fuori dal comune. Critical Zone è un viaggio notturno allucinante, carico di contrasti ed estremi, dall’incubo alla rabbia, dalla paura al grido liberatorio, che si potrebbe collocare tra Taxi Teheran di Jafar Panahi (consacrato nel 1997 proprio dal Pardo a Lo specchio) e Drive di Nicolas Winding Refn. Una pellicola dalla cura formale estrema (la triplice salita delle scale, i lunghi piani sequenza in aeroporto) spiazzante e ribelle che non si farà dimenticare, a differenza del brasiliano Rule 34 di Julia Murat che vinse un anno fa. Non solo contenuto e temi stavolta, come si potrebbe supporre dalle nazionalità e dalle trame dei film insigniti con i tre premi maggiori, e come talvolta accade nei festival, bensì la scoperta o l’affermazione della forza del cinema. Ahmadzadeh, Jude e Vroda posseggono tre sguardi diversissimi tra loro e potenti, che non si fermano mai alla superficie delle cose e tutti contengono più di un momento da ricordare. Il regista romeno aveva già vinto il Premio speciale della giuria con Scarred Hearts nel 2016 e fa il bis con Do Not Expect Too Much From The End Of The World, film che affonda come un bisturi nella società contemporanea, uno dei migliori quadri dello sfruttamento capitalistico. Jude era il grande nome della competizione con Essential Truths of the Lake del filippino Lav Diaz, già vincitore nel 2014 con From What is Before e rimasto completamente fuori dai premi. Locarno è sempre stata attenta alle novità e anche stavolta non si è smentita: nessun regista ha mai vinto il Pardo d’oro due volte.
L’altro picco nella selezione dei 17 era rappresentato dal documentario francese Nuit obscure – Au revoir ici, n’importe où di Sylvain George, che ha ottenuto una meritatissima menzione speciale. La bravura di un cineasta sta nel saper mostrare cose nuove e soprattutto in modo nuovo e George lo conferma: sceglie un bianco e nero che si dimostra capace di portarci fuori dai terreni della cronaca e del già visto, per raccontare i ragazzi che restano bloccati a Melilla, l’enclave spagnola sulla costa del Marocco, nel loro viaggio tra l’Africa e l’Europa. Un limbo esistenziale filmato stando molto vicino ai giovani protagonisti e insieme guardandoli da lontano nelle piccole strategie che adottano per sopravvivere. Non mancavano nel lotto né la varietà, né i nomi noti (in gara anche Quentin Dupieux con uno Yannick che non annoia mai) né appunto le scoperte. Nel contesto passano in tono minore, e sono state infatti ignorate dalla giuria, Svizzera e Italia. Il cinema di casa era rappresentato da Manga D’Terra di Basil da Cunha, discreto ma non una folgorazione. Quanto al cinema italiano, si è sentita la mancanza di una pellicola come Gigi la legge, uno dei colpi di fulmine del 2022. In mancanza di titoli forti, meglio scommettere su un esordio come Patagonia di Simone Bozzelli, ancora acerbo ma con qualche intuizione, tanto da farsi notare dalla giuria ecumenica.