Fogli al vento

Pronto, chi parla?

Se Romeo e Giulietta avessero avuto il telefono, come sarebbe andata a finire la loro storia?
Michele Fazioli
Michele Fazioli
04.09.2023 06:00

«Quella fra uomo e apparecchio telefonico è una relazione complicata, di odio e amore, come quelle coppie che si lasciano e tornano insieme a più riprese, si tradiscono, ma poi si perdonano, si fanno male, eppure si ritrovano sempre». Pesco questo pensiero in un libro recente, lo scorrevole saggio di un filosofo: «Storia sentimentale del telefono. Uno straordinario viaggio da Meucci all’homo smartphonicus», di Bruno Mastroianni, docente all’università di Padova. In sintesi: come è cambiata la vita degli umani dopo l’invenzione del telefono, che squarciò gli spazi e il tempo, fu il prodigio della vicinanza delle lontananze, una cosa che pochi decenni prima sarebbe stata pensata come una fandonia o un miracolo. Fino agli ultimi anni dell’800 e ai primi del ‘900 , per secoli e anzi millenni, per comunicare c’erano state soltanto le parole dette in faccia e quelle scritte (passavano spesso mesi fra la spedizione del mittente e la lettura del ricevente). Poi arrivò la rivoluzione telefonica. Ma il telefono ci mise molto tempo ad affermarsi, non fu subito universale e popolare. Fu a lungo roba da ceti alti. E così mi ritrovo nell’amarcord personale: la mia anagrafe e la mia storia familiare mi permettono di dire che io fui ragazzino senza telefono. A casa mia, nei miei primi quindici anni di vita, non l’avevamo. Per qualche rara urgenza si saliva dai signori del piano di sopra con venti centesimi e si chiedeva gentilmente di fare una chiamata rapida. Il telefono fu comunque, anche dopo che si ebbe l’apparecchio in casa, una cosa complicata e fissa: da giovani, se eravamo in giro, occorreva usare le cabine pubbliche con quel loro odore di chiuso e dovevi avere in tasca la riserva di monetine e magari fuori qualcuno aspettava impaziente il suo turno e tu fingevi la fisionomia di uno che stava facendo una telefonata di urgente gravità mentre invece stavi magari solo chiacchierando di pettegolezzi e d’amore, tenendo in mano il cinquantino da aggiungere al primo allarme di scadenza-monete. Tanto meno, quand’ero ragazzo, avevano il telefono i miei nonni all’altro capo della città. Mia mamma ci portava da loro tutti i pomeriggi senza scuola, tre volte la settimana, perché era l’unico modo per comunicare. E così ho attraversato centinaia di volte la mia città a piedi bevendone luci, insegne, odori, volti; e poi naturalmente dai nonni non si stava cinque minuti ma delle ore, d’autunno ci cuocevano le castagne, giocavamo con i cugini. Poi venne il telefono, risparmiammo ore e chilometri, perdemmo dei piaceri. Perché ogni invenzione aggiunge qualcosa ma toglie qualcosa d’altro. Infine installammo anche noi il nuovo telefono nero, a muro, appeso in corridoio, con il disco dei numeri e se un numero aveva molti zeri e nove, e otto, ci mettevi un sacco di tempo con il dito, mentre con le cifre basse si andava via svelti. Quell’apparecchio sulle prime faceva soggezione. I trilli improvvisi, all’inizio rari, allertavano tutta la famiglia. Mia mamma, prima di rispondere con voce forte «Pronto Fazioli!», alzava il capo e si dava una rapidissima ravviata ai capelli. Ho vissuto, e ne son contento, al bordo di due epoche. Adesso io, con una infanzia pre-telefonica, vivo in una maturità multimediale da telefonia post-moderna, arranco festoso su tastierine e schermini. Il progresso sarà a volte insidioso e invasivo ma anche affascinante.

È di questi giorni la notizia che sta per arrivare l’iPhone 15, mi chiedo cosa ci potranno aggiungere ancora come funzione, oltre a video, foto, pagamenti, musiche e la marea di app. Eppure quell’oggettino delle meraviglie, anche se gli togliessimo tutte le mirabolanti funzioni che ha, conserverebbe la magia essenziale di quella lontana rivoluzione. Altro che Instagram e TikTok, nel telefono ci sono la calda voce cara o il tono minaccioso, la bugia recitata, la risata, il rancore , il desiderio, l’ira, la nostalgia, il battito sonoro della vita. Sono voci (care, fastidiose, utili, interessanti, pettegole, consolatorie, ansiogene) che ci mormorano dentro l’orecchio, che sono qui incollate a noi, un bisbiglio, lo schiocco di una risata, una arrabbiatura. Quante storie personali sono state cucite con il filo del telefono! E quante storie sono cambiate, accadute e mutate grazie a quelle voci dell’anima, o suoni della personalità, che da lontano ci parlano vicinissime. Se Romeo e Giulietta avessero avuto il telefono, come sarebbe andata a finire la loro storia? E quanti legami affettivi nostri sono stati nutriti e riscaldati dalle sorprese del trillo atteso, dalle voci che incidevano le nostre vite? In fondo la storia sentimentale del telefono è la storia sentimentale della nostra vita.