Quando la società tace, la violenza parla

In Svizzera nel 2024 sono stati registrati 21’127 reati di violenza domestica, aumentati del 6% rispetto al 2023. Più del 70% delle vittime sono donne, mentre la maggior parte degli aggressori sono partner o ex partner. Dietro questi numeri c’è un allarme che non può essere ignorato, e che troppo spesso scivola via, confuso tra mille emergenze. È inaccettabile. È scandaloso. La società non può permettere che tutto questo venga trattato come una “tendenza statistica”.
La Giornata del 25 novembre contro la violenza sulle donne — così come quella del 20 novembre dedicata ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza — ci ricorda ciò che non dovremmo mai dimenticare: la violenza non si concentra in un giorno all’anno. Le conseguenze colpiscono il corpo, segnano la psiche, si insinuano nella vita quotidiana. Parlare serve. Parlare protegge. Parlare rende visibile l’inaccettabile.
Per questo è necessario partire dalla radice: l’educazione. Un bambino impara soprattutto osservando. Se cresce in un ambiente in cui il disprezzo è un metodo, l’aggressione è linguaggio e il silenzio è regola, tenderà a replicare ciò che ha visto. Eppure accade ancora, anche in Svizzera. In troppe famiglie le punizioni fisiche o psichiche sono considerate parte dell’educazione: oggi quasi la metà dei bambini svizzeri sperimenta forme di violenza educativa. Nel 2024, 2’084 minori sono stati presi in carico da cliniche pediatriche per sospetti o confermati maltrattamenti. Non sono numeri: sono ferite aperte che possono rovinare una vita.
Dobbiamo aspirare a un mondo in cui la violenza provochi la stessa repulsione che proviamo oggi di fronte agli antichi strumenti di tortura. Un mondo in cui la brutalità non sia una tentazione, ma un tabù sociale. Dove l’istinto di proteggere prevalga su quello di ferire.
Ma questo richiede anche scelte politiche chiare. Proteggere significa agire: servono procedure più rapide, misure di allontanamento realmente vincolanti, sostegno alle vittime senza burocrazia e una tutela dell’infanzia che non si limiti a raccomandazioni. Prevenzione, sì, ma accompagnata da responsabilità, limiti chiari e pene dure per chi li oltrepassa. La sicurezza non nasce da slogan: nasce da regole rispettate e da istituzioni che funzionano.
La violenza prospera nel silenzio. La dignità, invece, nasce quando una società trova finalmente il coraggio di dire basta — e di farlo ogni giorno, non una volta all’anno.
Ricordare il 20 e il 25 novembre significa onorare chi non ha voce e proteggere chi è più vulnerabile. Ma la memoria non può esaurirsi in due ricorrenze. La difesa dei diritti di donne e bambini deve abitare ogni giorno dell’anno, nelle scelte politiche come nei gesti quotidiani. Perché una società giusta non si misura dalle celebrazioni, ma dalla capacità di trasformare la consapevolezza in responsabilità permanente.

