Isole comprese

Quella notte di san Silvestro nella Berlino del 1989

«Alla Porta di Brandeburgo la gente si abbracciava e si baciava sotto il segno del primo Capodanno unito dal 1961»
Prisca Dindo
21.05.2023 07:00

Il viaggio non era iniziato bene. Una di noi aveva infilato un mazzotto nella valigia e ora il suo nome rimbombava nella hall affollata dell’aeroporto di Zurigo. Per fortuna eravamo nel 1989 e le drastiche misure di sicurezza scattate dopo l’attacco del 2001 alle torri gemelle di New York non erano ancora state promulgate. Alla nostra amica bastarono poche parole per spiegare ai controllori aeroportuali che non eravamo terroriste, bensì balde giovani in cerca di un ritaglio di gloria nella Storia.

Dopo quasi trent’anni di vite divise, i berlinesi dell’Est erano tornati ad abbracciare i berlinesi dell’Ovest. Il Muro era crollato e siccome il Capodanno era imminente, volevamo iniziare il 1990 aiutando l’altra metà della città a distruggere il simbolo della Guerra fredda con le nostre martellate.

Neppure decollati, già l’aereo planava sopra il cielo di Berlino. Era un tardo pomeriggio. La ferita tra le due città si riconosceva dall’alto.

Da una parte le luci accecanti del Capitalismo vincitore, dall’altra il crepuscolo del Socialismo reale. Fra le due sponde un serpentone di centocinquanta chilometri che per che per 28 anni aveva tentato invano di soffocare il libero mercato.

Il Muro di Berlino fu costruito nella notte fra il 12 e il 13 agosto del 1961 per impedire l’esodo dei cittadini della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) verso Ovest, e ora era tutto finito.

Il mattino dopo il freddo era pungente, ma l’eccitazione di scoprire cosa c’era dietro il muro superava l’incoerenza dei nostri vestiti infilati nella valigia senza badare a ciò che prevedeva la meteorologia.

Attraversammo malamente imbacuccate la sfavillante Berlino ovest per raggiungere il Checkpoint Charlie. Avevamo letto molto di questo posto di blocco collocato a cavallo tra il quartiere sovietico di Mitte e quello statunitense di Kreuzberg.

I Vopos, i poliziotti della DDR che fino a pochi giorni prima avevano l’ordine di sparare a chiunque avesse tentato di raggiungere l’Occidente, ci fecero segno di passare con un sorriso che illuminava tutto il loro viso.

Il filo spinato che correva per chilometri dietro il Muro era stato tagliato in più punti. L’atmosfera era gioiosa, ma le finestre murate per evitare che i berlinesi dell’Est si calassero all’Ovest, ci fecero comunque sussultare.

Oltrepassammo il posto di blocco e approdammo in un altro pianeta. A Berlino Est tutto era grigio e gigantesco: i viali i palazzi le piazze. Lungo le strade immense circolava solo qualche Trabant, l’auto simbolo della Repubblica Democratica Tedesca, famosa la fumosità del suo scarico. Di gente in giro ce n’era poca.

Ci venne fame ma gli scaffali dei negozi alimentari erano semi vuoti. Interrogato, un vecchietto cortese ci indicò la strada per il mercato nero, lì avremmo trovato cibo con più facilità. Pochi isolati più in là, su un grande spiazzo coperto di brina gelata, gli abitanti vendevano patate cipolle cetriolini sottaceto aromatizzati, ma anche caviale busti di Lenin e di Stalin e distintivi sovietici. Le sirene del capitalismo avevano già conquistato i berlinesi dell’Est, arcistufi di anni di austerità comunista. Gustammo qualche panino farcito con una Vita Cola, la risposta socialista alla bevanda più famosa del mondo.

Non capivamo il motivo preciso, ma quella città fantasma, così diversa dalle nostre, ci affascinava. Sulla strada del ritorno, ci fece ombra la Torre della Televisione di Alexanderplatz, che con la sua sfera avveniristica sulla punta sembrava uscire da un fumetto di fantascienza.

Il freddo era penetrato nelle nostre ossa ma non potevamo tirarci indietro. Era venuto il momento di dire addio al vecchio anno. Alla Porta di Brandeburgo la gente si abbracciava e si baciava sotto il segno del primo Capodanno unito dopo la seconda Guerra Mondiale.

L’euforia era alle stelle aiutata dall’alcol che scorreva a fiumi. Il 1990 era ormai iniziato da diverse ore e sotto i nostri piedi un tappeto di cocci di bottiglia ci fece capire che era giunto il momento di andarcene. Eravamo molto soddisfatte perché in tasca avevamo preziosi frammenti del Muro di Berlino che si era spezzato sotto i colpi del nostro mazzotto.

Anche noi avevamo così dato una spallata al Muro.

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