L'editoriale

Rimaniamo fiduciosi, prima o poi la ruota gira

Da ormai tre anni, i primi giorni di gennaio sono accompagnati da punti interrogativi, in inchiostro rosso, su cosa ci accadrà nei dodici mesi seguenti
Paride Pelli
01.01.2024 19:30

Da ormai tre anni, i primi giorni di gennaio sono accompagnati da punti interrogativi, in inchiostro rosso, su cosa ci accadrà nei dodici mesi seguenti. Qui in Svizzera e in Ticino siamo riusciti a salutare l’arrivo del 2024 ancora con una certa sicurezza e persino con allegria, ma sotto sotto, mentre con un occhio guardiamo ai prossimi impegni positivi e ben graditi – dal lavoro che non manca al focolare domestico che rincuora anche quando ci sono difficoltà – con l’altro osserviamo tutte le incognite in arrivo, che si prospettano numerose. Siamo immersi, infatti, in un fiume di crisi di vario tipo. A volte sembra quasi di nuotare controcorrente.

Il San Silvestro del 2020 fu l’ultimo che trascorse, ormai possiamo usare questa espressione, «come ai vecchi tempi». Tre mesi dopo, infatti, la vita delle società occidentali cambiava all’improvviso e ancora oggi non ha trovato un definitivo equilibrio. Restando nella Confederazione, il 25 febbraio di quell’anno usciva una ferale notizia, e vogliamo ricordarla con le asettiche e raggelanti parole dell’Ufficio federale della Sanità: «Un’infezione dal nuovo coronavirus COVID-19 è stata confermata in una persona del Cantone Ticino. La persona è stata ricoverata in ospedale e tenuta in isolamento. Le sue condizioni sono buone. Per rafforzare la cooperazione transfrontaliera, il consigliere federale Alain Berset ha incontrato oggi a Roma diversi ministri della salute».

Da quel giorno, lo stravolgimento delle nostre vite non si è più fermato. Anche la Svizzera, Paese innegabilmente più tranquillo e sicuro degli altri, è stata reclutata «a forza» nella cascata di eventi e di emergenze che si sono succedute con ritmo frenetico. Nel 2021 ci fu il picco pandemico e l’intero anno trascorse nell’angoscia, tra decessi, in particolare degli anziani, sospensioni temporanee delle attività economiche e drastiche limitazione delle libertà personali. Usciti da quell’annus horribilis, ci aspettava - ebbene sì - la guerra: il 24 febbraio 2022 la Russia muoveva le proprie truppe contro l’Ucraina, con conseguenze dirette sull’Europa che perdurano ancora oggi: aumento vertiginoso dei costi dell’energia e delle materie prime, inflazione diffusa per i piccoli consumatori. Il Vecchio Mondo ha tentato di reagire con sanzioni economiche verso Mosca, non così efficaci come si pensava, e approfittando degli eventi drammatici per varare un nuovo enorme piano di conversione dell’intero sistema di approvvigionamento energetico, il green deal. Se da una parte questo progetto molto ambizioso ha una sua ragion d’essere (lasciare un mondo più pulito alle prossime generazioni) dall’altra ha scatenato in alcuni animi una ulteriore eco-ansia di cui, in un simile contesto, non sentivamo la mancanza. Questa confusione, questa miscela di obiettivi nobili e di innovazione tecnologica che non riesce a trovare una pacata realizzazione, è sintomo di un disorientamento europeo che non si è dissolto.

Nel 2023 è esplosa poi una seconda guerra, quella tra Hamas e Israele. Un po’ più lontana da noi, ma altrettanto drammatica. Così come per quella in Ucraina, si sono sprecati i tentativi diplomatici di portare le parti in conflitto a un cessate il fuoco: la visione delle vittime civili ci pesa ogni giorno quanto la nostra impotenza.

Restiamo certi, però, che questo lustro di crisi geopolitiche ed economiche, a cui non è mancata nemmeno una pandemia, sia destinato a chiudersi, come sempre è accaduto e accadrà nella storia. È una ruota che gira, e che gira per tutti. A fine percorso forse ci ritroveremo in svantaggio rispetto ad alcuni Paesi emergenti e forse, come abbiamo più volte commentato su queste colonne, l’Occidente avrà perso un poco del suo appeal globale a favore del «Sud del mondo». Ma dalla nostra abbiamo tutte quelle energie che ci hanno portato dove siamo e che sono ancora ben vive in noi, nelle famiglie e nelle imprese svizzere. Non è scritto nel marmo che un ciclo di crisi debba inevitabilmente portare a un ridimensionamento delle proprie condizioni di cultura e di benessere. Anzi, non di rado è dalle crisi che si capisce la miglior strada da imboccare. 

Il 2024 sarà un anno di transizione? Lo si dice tutti gli anni e a suo modo è vero. Ma preferiamo pensare che sarà innanzitutto un anno di innovazione, di reazione e di presa a cuore del nostro futuro. Consapevoli che prima o poi la ruota gira.