L'editoriale

Se il premier destabilizza la società israeliana

Ieri Benjamin Netanyahu si è visto costretto ad annunciare la sospensione dell’iter legislativo volto a riformare la giustizia — Al momento l’unico elemento su cui tutti (leader e opposizione) sembrano d’accordo è la condanna degli atti di violenza
Osvaldo Migotto
28.03.2023 06:00

In Israele dopo oltre dodici settimane di proteste popolari contro la riforma giudiziaria voluta dal premier Benjamin Netanyahu e dal suo Esecutivo di destra, ieri sera il leader del Likud si è visto costretto ad annunciare, in un discorso alla nazione, la sospensione dell’iter legislativo volto ad ottenere nuove norme in grado di assicurare al Governo un forte controllo sul sistema giudiziario. Una riforma con la quale i partiti della maggioranza volevano tra l’altro ridurre i poteri della Corte Suprema, consentendo ad una semplice maggioranza parlamentare di annullare eventuali sentenze della stessa Corte che risultassero sgradite al premier e al suo Esecutivo.

A spingere il capo di governo a rinviare alla prossima sessione della Knesset, dopo la Pasqua ebraica, ulteriori dibattiti parlamentari sulla contestata riforma sono state in particolare le massicce proteste e gli scioperi annunciati in diversi settori economici dopo il siluramento, da parte di Netanyahu, del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant. Quest’ultimo, in un discorso tenuto sabato scorso, si era detto preoccupato per la sicurezza del Paese, dato che un crescente numero di riservisti si rifiuta di prestare servizio sotto quello che definiscono «un regime in preda a una deriva non democratica». E i riservisti, per un Paese come Israele, sempre minacciato dall’Iran, dalle fazioni estremiste palestinesi e dal gruppo libanese Hezbollah, svolgono un ruolo militare essenziale. Per questo Gallant, pur sostenendo la riforma della Giustizia, aveva sollecitato il premier a sospendere l’iter legislativo onde poter trovare un compromesso con l’opposizione. Lo stesso appello al dialogo è giunto nuovamente dal presidente dello Stato ebraico Isaac Herzog.

Alla fine il capo del Governo ha fatto un passo indietro. Per la prossima sessione del Parlamento unicamerale dello Stato ebraico il leader del Likud ha annunciato, nel corso di un discorso alla nazione, di voler procedere a un esame allargato della riforma della Giustizia per raggiungere un’intesa. Ma il suo compito non sarà facile, considerato che Netanyahu è alla guida di una coalizione piuttosto eterogenea, all’interno della quale vi sono anche partiti di estrema destra e religiosi ultraortodossi, ossia formazioni politiche poco propense a fare concessioni all’opposizione.

Basti pensare che la dichiarazione di Netanyahu favorevole a un compromesso con l’opposizione è arrivata dopo ore di negoziati tesi con il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Potenza ebraica. Alla fine Netanyahu ha ottenuto il sì del leader dell’estrema destra a una sospensione momentanea dell’iter legislativo, ma in cambio ha dovuto promettere che il Governo approverà la creazione di una Guardia nazionale civile di volontari alle dirette dipendenze del ministero guidato da Ben Gvir. Una scelta preoccupante viste le parole durissime usate dal leader di Potenza ebraica per criticare chi è sceso nelle strade dello Stato ebraico per dire un chiaro no alla contestata riforma.

Alla base delle attuali tensioni e delle incertezze future vi è una modifica del sistema giudiziario che finirebbe per agevolare il premier israeliano, da tempo nel mirino della Giustizia israeliana per presunta corruzione. Va infine precisato che Netanyahu, pur accettando un dialogo con l’opposizione «in nome della responsabilità nazionale», ha ribadito che in ogni caso «la riforma va fatta». Si tratterà ora di vedere se esistono reali spazi di manovra per giungere a un compromesso tra partiti di governo e partiti d’opposizione. Al momento l’unico elemento su cui tutti sembrano d’accordo è la condanna degli atti di violenza. Ma non basta per porre rimedio a una situazione che, se non sarà portata sotto controllo nel breve periodo rischia di destabilizzare la società israeliana. 

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