Il commento

Se sulla pandemia non si gioca a carte scoperte

La direttrice dell’UFSP Anne Lévy “premiata” per aver ostacolato l’informazione – Secondo la rete di giornalisti investigativi non sarebbe stata trasparente con i contratti dei vaccini – Un segnale poco positivo per la nostra democrazia
© KEYSTONE/Peter Klaunzer
Prisca Dindo
23.11.2022 16:47

In un mondo in cui tutti han detto tutto e il contrario di tutto sulla pandemia, quello reso noto ieri da investigativ.ch non è un bel segnale per un Paese democratico come il nostro. La rete di giornalisti investigativi ha attribuito «il Freno d’oro» 2022 ad Anne Lévy. La direttrice dell’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) non ne andrà certo fiera. Il premio è destinato dal 2014 a chi ostacola l'informazione. Lévy ha subito rimandato le accuse al mittente: «Le vostre critiche sono errate» ha fatto sapere.

Ma il gruppo di giornalisti molto attivi nel campo investigativo la pensa diversamente. «Va da sé che il pubblico ha bisogno di informazioni precise in tempi difficili di pandemia per potersi fidare delle autorità -  spiega investigativ.ch -. Tuttavia, l'Ufficio federale della sanità pubblica ha optato per il contrario».   

A loro avviso, Lévy e i suoi funzionari sarebbero stati «negligenti nell'applicazione della legge sulla trasparenza», perché nei documenti sui contratti dei vaccini, pubblicati dopo molte esitazioni, avrebbero  oscurato con tanto di righe nere molte informazioni. «Inoltre  - aggiunge ancora investigativ.ch - le richieste dei nostri giornalisti sono state spesso respinte dall'Ufficio federale. Alcuni attendono da più di due anni documenti decisivi sui prezzi dei farmaci».

Certo, non era facile gestire l’emergenza Coronavirus. In questi due anni la discussione nata attorno ai vaccini rasentava a volte il grottesco. Come dimenticare chi sosteneva che l’antidoto rendesse magnetica la zona del braccio dove veniva inoculato, con tanto di video dimostrativo con forchetta «appiccicata» pubblicato sui social. Oppure chi era certo che invece del medicamento, venisse iniettato un microchip sottocutaneo rilevabile attraverso il Bluetooth dei comuni smartphone.

Secondo un'analisi del Reuters Institute su un campione di contenuti falsi riguardanti la COVID-19 e pubblicati sui social, il 59% di questi si basava in una certa misura su informazioni vere ma manipolate, mentre il 38% era inventato di sana pianta.

Quando c’è chi gioca sulla paure altrui occorre la massima trasparenza sulle informazioni. Costi quel che costi.

Se le conclusioni della rete giornalistica investigativ.ch si rivelassero fondate, sarebbe grave. Sapere che l’Ufficio federale della sanità pubblica avrebbe riempito di righe nere i documenti dei contratti dei vaccini non farebbe dormire sonni molto tranquilli a nessuno. Neppure al più razionale dei cittadini.  

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