Ultima chiamata per l'accordo sulla Giustizia

Un accordo incompleto. La scorsa settimana la Commissione giustizia e diritti ha trovato un’intesa parziale sui nomi da proporre al Parlamento per tre importanti nomine in seno alla Giustizia ticinese. La simbolica stretta di mano politica c’è stata per il quarto giudice di garanzia e per il magistrato dei minorenni, ma non per il procuratore pubblico che dovrà sostituire la partente Francesca Piffaretti Lanz.
E sul banco degli imputati, ancora una volta, è finito il sistema di nomina dei magistrati. Un sistema, lo sappiamo bene, che si basa sulla ripartizione partitica. E fin qui nulla di male. Lo ribadiamo: le diverse sensibilità politiche di ogni procuratore possono essere un valore aggiunto. E non si cada nell’errore di identificare nel magistrato un militante di partito, pronto a sbandierare ai quattro venti la sua tessera.
Il problema nasce quando l’area politica diventa quasi un diktat, che scavalca le competenze dei singoli candidati. Può infatti succedere che in una tornata un aspirante procuratore sia migliore di quello proposto dall’area politica del magistrato «uscente», ma nulla vieta ai partiti di accordarsi, di cedere il passo a un altro candidato più valido. Per poi restituirsi il «favore» più avanti. Invece, le discussioni in Giustizia e diritti sono state piuttosto accese e hanno toccato anche criteri non oggettivi, esponendo i candidati a un fuoco incrociato – fortunatamente per loro – coperto dal segreto commissionale.
A sollevare il problema, recentemente, è stato anche il presidente uscente del Tribunale d’Appello, Andrea Pedroli, il quale in occasione del suo discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, venerdì scorso, non ha lesinato critiche alla politica. E anche il direttore del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi, ai microfoni di Teleticino ha affermato che «la cosa più importante è l’adeguatezza della persona dal punto di vista delle conoscenze tecniche e della personalità». Il consigliere di Stato si è pure detto preoccupato della prima e principale conseguenza del mancato accordo politico: ovvero che a conti fatti la Magistratura rischia di restare con un procuratore in meno per due mesi e mezzo, ossia fino alla prossima sessione parlamentare in agenda a settembre. Non esattamente lo scenario migliore a fronte dell’importante mole di incarti che la squadra del procuratore generale Andrea Pagani è chiamata a evadere.
Insomma, per la politica la prossima riunione della Commissione Giustizia e diritti, lunedì 13 giugno, sarà per certi versi una «ultima chiamata». Senza un’intesa partitica, oltre a lasciare scoperta la Magistratura per un periodo di tempo importante, il segnale che verrebbe dato ai cittadini non è certo dei più edificanti. Soprattutto se si considera che nel corso dell’ultima sessione di Gran Consiglio i deputati sono riusciti nell’impresa di discutere per un’ora sul rimborso dei propri abbonamenti Arcobaleno. Il tutto condensato in un dibattito condito da accuse e contraccuse; schermaglie alle quali non abbiamo assistito neppure in occasione delle più recenti discussioni sul taglio alla spesa o quelle più datate sulla riforma fisco-sociale.

