Un cambio di paradigma silenzioso: la Svizzera verso l’integrazione giuridica nell’UE

Da oltre vent’anni la Svizzera intrattiene con l’Unione europea relazioni fondate sugli accordi bilaterali. Ma secondo il professor Paul Richli, già rettore e professore emerito di diritto pubblico all’Università di Lucerna, ciò che un tempo era una cooperazione tra Stati sovrani si sta trasformando, lentamente ma inesorabilmente, in un processo di integrazione unilaterale nel diritto dell’Unione.
Nella sua conferenza tenuta all’Istituto di diritto pubblico (IWP) il 15 ottobre 2025, Richli ha parlato di un vero “cambio di paradigma” nei rapporti tra Berna e Bruxelles. Tale mutamento, avverte il giurista, non nasce oggi ma ha avuto inizio con i Bilaterali II del 2004, per poi compiersi con il nuovo pacchetto di accordi in preparazione, quello reso noto dai media come “Bilaterali III”.
Con i Bilaterali I del 1999, la Svizzera e l’UE avevano stipulato accordi paritari: due ordinamenti giuridici autonomi che si incontravano su base di reciproca sovranità. Con i Bilaterali II del 2004, però, la situazione inizia a cambiare. Accordi come Schengen e Dublino introducono l’adattamento dinamico al diritto europeo: la Svizzera si impegna ad aggiornare le proprie leggi ogni volta che l’UE modifica le proprie norme. Secondo Richli, questo è l’inizio della perdita di autonomia legislativa. Da allora la Confederazione non decide più liberamente in ambiti cruciali come la politica di sicurezza o la cooperazione giudiziaria: deve “tenere il passo” con Bruxelles, pena l’esclusione o sanzioni.
Il nuovo pacchetto di accordi porterebbe questo meccanismo all’estremo: la Svizzera dovrebbe recepire automaticamente il diritto UE in diversi settori economici e regolatori, la Corte di giustizia europea avrebbe l’ultima parola in caso di controversie, e l’UE potrebbe adottare “misure di compensazione” (ovvero di ritorsione) qualora la Svizzera rifiutasse di adeguarsi. Per il professor Richli si tratta di una modifica materiale della Costituzione federale, poiché sposta competenze legislative e giudiziarie fuori dal controllo democratico svizzero. Articoli della Costituzione federale, come il 3 (sovranità dei Cantoni), il 163 (forma delle leggi), il 189 (ruolo del Tribunale federale) e il 34 (diritti politici) verrebbero di fatto svuotati. “Ciò che era cooperazione paritaria diventa integrazione unilaterale nel sistema normativo europeo”, ha dichiarato Richli nella sua relazione.
Il problema, sottolinea il giurista, non è l’Europa in sé, ma il modo in cui la Svizzera vi si sta avvicinando: non con una scelta chiara e trasparente, ma “per via amministrativa”, senza che il popolo sia pienamente informato della portata costituzionale di questi cambiamenti. Questo processo, prosegue Richli, equivale a una “modifica della Costituzione dalla porta di servizio”. Il Parlamento e il Consiglio federale si apprestano a ratificare accordi che, nella sostanza, limitano la sovranità popolare senza un referendum obbligatorio, come invece dovrebbe accadere per ogni revisione costituzionale.
È giunto il momento che la popolazione – e anche quei partiti politici che sembrano accettare tutto supinamente – prenda coscienza di questo cambio di paradigma. I Bilaterali II del 2004 hanno aperto la strada, il nuovo pacchetto la percorre fino in fondo. La Svizzera rischia di non essere più padrona del proprio diritto e del proprio destino democratico. Da oltre 170 anni la Confederazione Svizzera poggia su un principio semplice e rivoluzionario: che il popolo è sovrano. Difendere quella sovranità oggi significa rimanere fedeli allo spirito del 1848, anno in cui nacque la nostra democrazia moderna.

