L'editoriale

Una corsa a sindaco che va oltre Lugano

Di certo, il nome del prossimo sindaco avrà ripercussioni molto meno «Lugano-centriche» di quel che appare, oggi, a prima vista
Paride Pelli
14.03.2024 06:00

Possiamo dirlo senza apparire troppo «Lugano-centrici»? Alla fine molti occhi saranno puntati proprio lì, su Piazza della Riforma, in attesa dei risultati della sfida per eccellenza tra le tante contenute nel prossimo giro di elezioni comunali, che andranno in scena tra un mese esatto, il 14 aprile. Parliamo, ça va sans dire, di quella tra Michele Foletti e Marco Chiesa. Certo, si vota in 83 Comuni su 106 e tradizionalmente per un ticinese nessun Comune è più importante del proprio. La vita quotidiana, infatti, passa soprattutto da lì. Ma dopo aver visto i risultati strettamente «in casa propria», è naturale che l’attenzione di molti ticinesi – votiamo potenzialmente in 217 mila - si focalizzi su Lugano.

Alcuni sostengono che non si tratta di una vera sfida: i due corrono nella stessa lista Lega-UDC. A nostro parere, invece, proprio questo motivo rende la competizione ancor più appassionante, un po’ come quella che nel 2013 vide di fronte Giorgio Giudici e Marco Borradori (su liste ovviamente separate). Vinse quest’ultimo, e Re Giorgio, dopo 35 anni in Municipio e 29 da sindaco, uscì di scena. Anche questa volta, i duellanti si giocano molto e su più livelli. Chiesa è presidente nazionale UDC uscente e non si candiderà per la rielezione, ma è anche stato confermato e plebiscitato appena quattro mesi fa come deputato al Consiglio degli Stati. Se vincerà, sarà chiamato con il suo operato a dare all’UDC un presidio ancora più forte in Ticino. Foletti, attuale sindaco, è invece l’uomo su cui punta la Lega, che ha bisogno di non perdere terreno dopo i risultati deludenti alle Cantonali dell’ottobre scorso. Non si sa ancora come Chiesa riuscirà eventualmente a trovare nelle sue giornate il tempo per assolvere i propri compiti sia a Berna (dove agli Stati è pure presidente della commissione della politica estera) sia alla guida di una città totalizzante come Lugano; su questo punto, il democentrista non ha ancora sciolto il nodo. Con Foletti, invece, si può parlare - con rispetto, naturalmente - di usato sicuro, in un momento in cui Lugano ha bisogno, oltre che di una carica di energia e di slancio, anche di certezze.

Per i luganesi schierati a destra, scegliere tra i due potrebbe rivelarsi un bel dilemma. È vero, alle Comunali, agli occhi degli elettori, hanno sempre contato più le persone che i partiti. Ma a questo giro è innegabile che i due sfidanti per Lugano portino sulle proprie spalle anche un po’ del destino dei loro movimenti nel nostro cantone. È questo il reale motivo di alcuni attriti che si sono visti nelle ultime settimane. Di fatto, la doppia corsa Chiesa-Foletti è lungi dall’essere un tandem elettorale dove pedalano, fischiettando, sia l’UDC che la Lega ma è, al contrario, una lotta intestina all’ultimo voto. Lo si legge in filigrana in alcune recenti dichiarazioni in casa Lega. Foletti è il primo a nutrire dubbi sia come uomo di partito («Avere Chiesa in lista rafforza l’area di centro-destra ma pone anche dei problemi») sia come sindaco in carica («Se Chiesa avesse più voti di me sarebbe imbarazzante»).

Un altro leghista, il consigliere di Stato Claudio Zali, è stato più diretto negli scorsi giorni: «È pensabile che un vincente come Chiesa corra solo per una poltrona in Municipio e non invece per quella di sindaco?  L’ambiguità non ci appartiene, i luganesi meritano risposte prima del voto». Constatiamo che tali risposte tardano ad arrivare e non fanno che alimentare le voci di un’alleanza che scricchiola a più livelli come è emerso anche a livello di parlamento cantonale. Inizialmente, la presenza di Chiesa sembrava servisse solo a rafforzare il perimetro elettorale Lega-UDC con una sorta di patto tra l’attuale «senatore» e Foletti: il primo, in caso di vittoria, sarebbe infatti stato disposto a cedere la poltrona al secondo. È davvero ancora così? Il rischio di combinare un colossale pasticcio politico appare concreto. Lo ha rilevato, con consumata esperienza, Giorgio Giudici: «Se un candidato venisse eletto come primo, la gente si aspetterebbe che assuma la carica di sindaco. Nel caso questo non succedesse, sorgerebbe spontanea la domanda: ma allora gli elettori cosa sono stati indotti a votare?». Osservazione che non fa una grinza.

I luganesi daranno dunque fiducia al sindaco subentrato in un momento drammatico al compianto Borradori e capace di rimettere in sesto le finanze dissestate della Città locomotiva del cantone oppure punteranno su una figura più popolare e influente a livello federale? Chi sarà il sindaco di quindicina? E cosa comporterà (e chi altro coinvolgerà?) un’eventuale affermazione di Chiesa a Lugano? Dall’esito delle urne, capiremo davvero se il famoso patto aveva una valenza solo tattica e strategica. Di certo, il nome del prossimo sindaco avrà ripercussioni molto meno «Lugano-centriche» di quel che appare, oggi, a prima vista.

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