Uomini e lupi
E ti pareva. Il Consiglio federale finalmente dà licenza di sopprimere più facilmente i lupi nocivi alle greggi e gli animalisti protestano. Infatti se da una parte l’associazione contro i predatori ha dichiarato che quel provvedimento del governo è solo un cerotto parziale contro il grande danno recato dai lupi, subito dall’altra parte l’associazione svizzera degli amici del lupo ha reclamato contro la misura del governo, che sarebbe troppo severa nei confronti dell’amico (il lupo, s’intende). Di mezzo sembra esserci un tremendo malinteso antropologico e culturale (e ideologico) sul rapporto fra natura da salvaguardare e civiltà umana da difendere.
Oh, quant’è bello che i contadini di montagna tengano puliti pascoli e prati frenando l’avanzare del bosco, e nelle villeggiature estive ti fanno provare il latte appena munto e portano giù dagli alpeggi il formaggio buono e ci danno i capretti per le nostre primavere gastronomiche e le nostre Pasque post-cristiane! Viva i contadini, dunque, soprattutto se lo possiamo dire sdraiati sulle amache del benessere di città, fieri di avere prodotti (bio, naturalmente) a chilometro zero. Ah, la preziosa montagna!, esclamano tutti. Però se dal bosco salta fuori un lupo e riesce ad azzannare una decina di pecore e fare uno sfracello, lo stesso coro radical-bio non grida «attenti al lupo» (dove sei, Lucio Dalla?) e nemmeno pensa a un lupo cattivo (dove sei, Cappuccetto Rosso?) ma pensa «attenti all’uomo!». Sarebbe dunque l’uomo, questo bipede implume e prepotente, a recar danno all’equilibrio cosmico naturale di boschi incantati, dove i lupi dovrebbero poter girare indisturbati e i pastori costretti in una riserva indiana elettrificata che neanche Auschwitz, ingaggiando cagnoni feroci e pericolosi per l’uomo. La realtà è che l’agricoltore di montagna è il giardiniere virtuoso della natura disciplinata dall’uomo in secoli di durissimo lavoro. Se nell’utopia emotiva da «bosco sacro» stiamo costringendo alla resa la pastorizia insidiata dai lupi e dalle spese per difendersene, abbandoneremo territori interi d’erba che vantano secoli di resistenza agricola e lasceremo avanzata libera alla crescita enorme dei boschi.
È proprio perché sulle montagne dell’Europa hanno ripreso piede centinaia di migliaia di ettari di bosco (anche da noi; chiedete per conferma ai forestali del Cantone) che sono tornati i lupi, gli orsi e le linci, scomparsi da quasi duecento anni. La civiltà umana ha bonificato boschi e foreste creando equilibri sperimentati e una preziosa e vitale agricoltura d’altura, lungo il corso di decine di secoli. I campi montani ricavati dai boschi, i pascoli, gli alpeggi, i coltivi in altitudine non sono natura incontaminata, non sono un mondo «naturale» originario ma sono il frutto del possente e faticoso lavoro di bonifica da parte dell’uomo, e per questo è nata la civiltà della montagna, di cui siamo tutti un po’ figli in questa nostra terra prealpina. C’è un vitale circolo virtuoso (quello sì davvero ecologico) fra terre alte, greggi e mandrie, e produzione locale. È giusto salvare il più possibile la presenza delle specie, ma non mettendo sotto mira l’uomo e mai sotto tiro il lupo. A questo proposito appare grottesca la battaglia che gli animalisti italiani stanno conducendo per impedire che si sopprima l’orso che ha azzannato orribilmente e ucciso un pacifico camminatore di montagna. Non è colpa dell’orsa, dicono, forse il ficcanaso umano ha disturbato gli orsetti e la mamma si è inferocita e poi cosa ci faceva quel runner con gli scarponcini nel grande regno degli orsi? Magari poi succede anche che chi vuole tenere in vita l’orsa assassina spesso mangia allegramente le selle di capriolo ben sapendo che i cerbiatti (che non hanno ammazzato nessuno) sono uccisi dai cacciatori e che il gustoso «affettato nostrano» non può prescindere dall’esecuzione letale, fra alte strida, del suino. Il discorso si fa complesso: dove metteremo i paletti etici, il confine morale fra la gratuita uccisione criminosa e giustamente inaccettabile di un animale amico dell’uomo, tipo il cane e il gatto di casa (per il cavallo si è già più fluidi, c’è chi ama molto i filetti equini) e altre uccisioni considerate lecite? E i poveri polli (che non sbranano turisti)? Per i ratti poi nessuna pietà, e per le zanzare siamo tutti favorevoli al genocidio. Fra uomo e natura mi pare che ci voglia misura, non fanatismo da animalisti da attico urbano per cui la natura è sempre buona e l’uomo è sostanzialmente malvagio. La montagna appartiene un po’ anche all’uomo, che la salva, la esplora, la gode, ne ricava piacere, sport e meraviglia. E agricoltura preziosa, e lavoro.