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Una grande festa della musica

Dal 13 al 20 marzo il Conservatorio della Svizzera italiana mette in mostra i suoi «gioielli» - Ne parliamo con il direttore Christoph Brenner
Saranno gli allievi dei tre dipartimenti del CSI (Scuola di Musica, Pre-College e Scuola Universitaria) e i loro vari ensemble ad animare l'intera settimana di «Conservatorio in Festival».
Mauro Rossi
11.03.2022 12:00

Una grande festa della musica con quella che in Ticino è la sua principale struttura didattica e divulgativa. Così potremmo sintetizzare Conservatorio in Festival, rassegna promossa dal Conservatorio della Svizzera italiana comprendente una serie di eventi con cui, da domenica 13 a domenica 20 marzo, l’ateneo si mette letteralmente in vetrina con l’intento - spiega il suo direttore generale Christoph Brenner - «di aprire nuovamente, dopo due anni difficili, le nostre porte a tutti, soprattutto a chi ci vede come un’istituzione un po’ elitaria, seriosa».

Un festival che, come ha già anticipato, chiude, speriamo definitivamente, un biennio che per tutte le scuole è stato particolarmente complesso. Come lo avete affrontato e superato?
«Cercando il più possibile di non stravolgere l’attività didattica. Il tutto nel più rigoroso rispetto delle norme della Confederazione e dell’Ufficio del Medico cantonale (anche laddove ci parevano poco sensate, come il divieto di svolgere l’attività corale dopo che, per alcuni mesi, avevamo dimostrato che si poteva cantare usando le mascherine e mantenendo le distanze). Ce l’abbiamo fatta soprattutto grazie ad una forte cooperazione con i docenti e gli studenti. Una cooperazione che ci ha permesso di superare senza troppi traumi il periodo e di portare a termine buona parte delle nostre produzioni e dei nostri concerti».

Già perché il Conservatorio della Svizzera italiana non è solo insegnamento, ma anche proposte culturali e ricerca…
«Puntiamo soprattutto ad essere un istituto di formazione e di produzione musicale. Però, è vero, tra i nostri mandati ci sono anche quelli legati alla ricerca e all’offerta di percorsi di formazione continua: due aspetti sui quali c’è l’obiettivo di concentrare maggiormente i nostri sforzi. Non che adesso le cose non funzionino. Tuttavia si può sempre fare meglio: nell’ambito musicale bisogna infatti sempre ambire alla perfezione pur sapendo che non si riuscirà a raggiungerla; per noi, quindi, è fondamentale cercare in continuazione di migliorare. Un modo di affrontare le cose reso possibile da uno staff validissimo che fa, oggi, del CSI una scuola riconosciuta internazionalmente. Tanto che, quando facciamo dei concorsi, la qualità delle candidature che riceviamo è altissima e ciò ci permette, di conseguenza, di innalzare i nostri standard».

Un’internazionalizzazione, quella del CSI, riscontrabile anche tra gli studenti?
«Dipende dai singoli dipartimenti. La Scuola di musica, in quanto scuola di base, raccoglie infatti quasi totalmente bambini e ragazzi del territorio. Anche nel Pre-College il 90% degli studenti è ticinese, anche se c’è una crescente richiesta di iscrizioni proveniente dall’estero. Nella Scuola Universitaria abbiamo per contro studenti che vengono da ben 40 Paesi diversi. Si tratta dunque di un percorso molto internazionale che risente della situazione globale, come ad esempio il conflitto attualmente in corso in Ucraina: abbiamo molti studenti che arrivano da quell’area e quindi potenzialmente con delicati equilibri relazionali anche se, in ambito musicale, le differenze e le problematiche che si verificano in molti altri settori tendono ad essere annullate dal potere unificante della musica».

È tuttavia indubbio che una scuola così internazionale necessiti di sforzi didattici supplementari…
«Sì e no: abbiamo infatti la fortuna che quello musicale è un linguaggio universale e dunque comprensibile a chiunque. È tuttavia chiaro che avere studenti che vengono da 40 Paesi diversi comporta qualche difficoltà supplementare in termini di comunicazione e un notevole dispendio di energia. Che è tuttavia compensato da uno straordinario arricchimento: ogni studente porta infatti con sé un pezzo della propria storia che poi condivide all’interno di un progetto comune che è la musica».

Il Conservatorio, nell’opinione generale, è un po’ considerato - come dice anche il suo nome - il custode dell’ortodossia musicale. È così anche per voi oppure il vostro rapporto con il cosiddetto “pop” è più aperto?
«Per nostra fortuna siamo un istituto giovane, che risente poco di determinati condizionamenti e che tiene sempre ben presente ciò che diceva Gustav Mahler, ossia che i tradizionalisti sono solo persone troppo pigre per affrontare i cambiamenti del mondo. Personalmente, poi, la penso come Leonard Bernstein, il quale sosteneva che non c’è differenza tra musica seria e musica leggera, ma solo tra musica fatta bene o fatta male. Dunque non siamo assolutamente dei custodi dell’ortodossia, come dimostra il fatto che abbiamo attività in ambito jazz e moderno. Semplicemente, ogni cosa che facciamo deve rispondere a determinati requisiti qualitativi: che si tratti di musica classica, jazz, contemporanea o quant’altro. E poi non dobbiamo dimenticare che compositori considerati “classici” come Vivaldi e Telemann, ai loro tempi facevano musica di consumo e, dunque, erano “pop”… E che tanti musicisti pop di oggi hanno alle spalle una formazione classica».

Qualità che è alla base anche delle proposte di Conservatorio in Festival del quale tiene ad evidenziare qualcosa?
«Direi che la parte iniziale e quella conclusiva racchiudono tutto il nostro lavoro: il concerto di domenica 13 vede infatti riuniti gli allievi dei tre dipartimenti del CSI: la Scuola di Musica, il Pre-College e la Scuola universitaria ponendo l’accento sul carattere formativo della scuola. Quello conclusivo di domenica 20 al LAC sotto la direzione di un ticinese conosciuto in tutto il mondo, Diego Fasolis, mette invece in mostra il talento di chi questo percorso formativo lo sta completando: quasi la chiusura di un cerchio, dunque».

Scopri di più sugli eventi in programma dall'11 al 17 marzo sfogliando AgendaSette n. 10, in allegato venerdì al Corriere del Ticino e sempre a portata di smartphone e tablet con l'app CdT Digital.