Ticino

Covid, la truffa a buon rendere

La grande abbuffata dei crediti federali finisce in tribunale: un centinaio in Ticino i furbetti denunciati – In corso accertamenti su altri cinquecento insolventi
135 i procedimenti penali per truffe Covid avviati in Ticino dal 2020. © CdT/ Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
05.03.2023 07:00

Per Samuel Turcati la pandemia non è ancora finita. Ogni giorno entra negli uffici della SECO a Berna in Holzikofenweg, a due passi dal fiume Aar, e porta avanti il suo lavoro. È un lavoro immane: il 46.enne luganese è a capo del gruppo che si occupa dei crediti Covid. Dalla sua scrivania - con le foto di Lugano e dell’Ambrì, la squadra del cuore - nei mesi più difficili della crisi Covid sono passati virtualmente 16,9 miliardi di franchi sotto forma di fideiussioni. È stato il grande aiuto della Confederazione all’economia svizzera: la «manna» che ha permesso a 137.000 imprese di superare la peggiore tempesta nella storia recente del Paese. Tra queste si sono infilati anche diversi «furbetti» in cerca di soldi facili, purtroppo. Passata la crisi, adesso sulla scrivania di Turcati arrivano le sentenze dei tribunali e le denunce di abusi.

Non è un lavoro che si smaltirà in fretta. A tre anni dallo scoppio della pandemia l’«ondata» dei processi a chi ha abusato degli aiuti pubblici è appena iniziata. Solo in Ticino sono oltre 500 i casi di insolvenza di cui si stanno occupando gli avvocati della Confederazione. I casi sospetti andranno a sommarsi a 135 denunce già inoltrate al Ministero Pubblico negli scorsi mesi. Di queste 35 sono già sfociate in un processo, secondo i dati della SECO, per un ammontare di 2,9 milioni di franchi. Ma i procedimenti pendenti sono molti di più: un centinaio, per un valore di 11,4 milioni di franchi.

La caccia ai truffatori

«Le cose vanno però considerate nella giusta proporzione». Turcati non entra nel dettaglio di singoli casi. Si limita ai numeri. «Nel complesso gli abusi nel nostro ambito si attestano a una piccola percentuale sul totale dei crediti concessi» osserva il funzionario. Il Ticino è un esempio virtuoso. Si posiziona quarto nella classifica dei cantoni che più hanno beneficiato della garanzia federale: 1,3 miliardi di crediti erogati, solo Zurigo, Vaud e Berna hanno ottenuto di più. Per numero di abusi riscontrati invece il nostro cantone è settimo. Calcolatrice alla mano, la proporzione è di un franco potenzialmente «truffato» allo Stato per ogni 99 erogati regolarmente. In altri cantoni il rapporto è due o tre volte tanto (uno a 35 a Zugo, uno a 44 a Zurigo).

Al netto dei luoghi comuni - italianità uguale furbizia, l’occasione fa l’uomo ladro - la pioggia di aiuti pubblici non sembra aver generato, almeno in terra ticinese, una messe di abusi altrettanto grande. Meglio così. Anche le banche - che fisicamente hanno erogato le risorse - non si lamentano. «A tre anni dall’emergenza possiamo dire che la percentuale di irregolarità è stata minima rispetto allo sforzo profuso e alla liquidità iniettata nell’economia» conferma il direttore dell’Associazione bancaria ticinese Franco Citterio. Le truffe vere e proprie, è chiaro, vanno distinte dai casi in cui i creditori in buona fede non sono stati, o non saranno in grado di onorare il debito. «Questo è un altro capitolo ed è presto per fare un bilancio, di sicuro però l’accesso a linee di credito a tassi privilegiati è stato e rimane tutt’oggi un sostegno importantissimo per le aziende, a maggior ragione ora che l’inflazione ha fatto salire di molto il costo del denaro. Senza l’intervento statale, sarebbe stato un collasso».

Controlli a posteriori

Il paradosso è che, se tutto ha funzionato, è stato proprio grazie all’assenza di controlli. Nel picco dell’emergenza pandemica, a un’azienda che faceva domanda di credito Covid poteva bastare mezz’ora per veder comparire i soldi sul conto corrente. Il record è stato di 18 minuti. «Era sufficiente compilare un formulario di una pagina, i funzionari della banca erogatrice dovevano solo verificare la completezza dei dati e non la loro veridicità» spiega Turcati. Questo «proprio per garantire la tempestività necessaria a fornire liquidità in un momento di urgenza». Il funzionario della SECO ricorda ancora quei momenti concitati con un sospiro: «È successo tutto in un batter d’occhio». Ma il suo lavoro era solo all’inizio. I controlli si sono svolti a posteriori, e continuano tutt’oggi.

Rispetto al modo in cui l’ufficio di Turcati è abituato a lavorare, in effetti, «si è trattato di un’anomalia». Laureato in economia all’Università di Zurigo, il ticinese dal 2012 è responsabile delle fideiussioni alle piccole e medie imprese presso la SECO. Il meccanismo utilizzato da Berna durante la crisi Covid, in realtà, non è una novità di per sé: i crediti bancari garantiti dalla Confederazione esistevano anche prima ed erano utilizzati «da un bacino di circa 1.800 imprese» attraverso quattro cooperative di fideiussione sparse per la Svizzera. Queste ultime facevano (e fanno) da intermediarie con le banche, fornendo garanzie per aziende «ritenute solide o promettenti ma che per un motivo o per l’altro non potevano accedere a linee di credito normali» spiega Turcati. A fare da garante alle cooperative, in ultima istanza, è lo Stato.

L’onda lunga delle truffe

Il sistema con il Covid non è cambiato in sostanza. Solo che da 1.800 richieste l’anno si è passati a 137.000 nell’arco di poche settimane. L’intero ufficio, Turcati e il suo superiore Martin Godel, responsabile del Settore politiche per le piccole e medie imprese alla SECO, si sono ritrovati da un giorno all’altro sulla cresta di un’onda che è diventata uno tsunami. E hanno dovuto cavalcarla. «Le decisioni venivano prese dal governo e noi le abbiamo messe in pratica» spiega Turcati. «Il nostro lavoro è stato e rimane dietro le quinte».

Modestia a parte, è difficile pensare che senza una struttura pre-esistente e collaudata sarebbe stato possibile realizzare una risposta in tempi simili, un record in Europa. «È chiaro però che è stato necessario modificare l’approccio» illustra Turcati. Se in precedenza le verifiche sui debitori erano fatte prima della concessione del prestito, durante la pandemia è stato tutto rimandato a dopo. E il dopo arriva fino a oggi. Le denunce dei casi sospetti sono 2.720 da tutto il Paese finora, di cui 2.045 ancora pendenti: provengono in prima istanza dalle banche, le quali possono inviare direttamente delle segnalazioni alle Procure, oppure dalla SECO stessa, dalle cooperative di fideiussione (quella responsabile per il Ticino si trova a San Gallo) e dai loro avvocati. I primi casi clamorosi, finiti in tribunale e sui giornali nei mesi scorsi, sono solo l’inizio, conferma Turcati. Il grosso delle indagini è ancora in corso, e nuove denunce potrebbero ancora arrivare in futuro. «Teniamo la lista costantemente aggiornata». La pandemia nel resto del Paese per fortuna è alle spalle. Ma negli uffici della SECO durerà ancora un po’.

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