«È stato bello, Credit Suisse»

Alberto Bernasconi, 90 anni, ha ricevuto giovedì una lettera da un’ex collega. «Caro direttore, ricordo quando arrivò a Chiasso». Era il 1977. Texon, il primo grande scandalo per Credit Suisse. Lui era l’uomo chiamato a risollevare le sorti della filiale di confine. «Ci siamo riusciti grazie alla reazione straordinaria del personale», dice nostalgico. Rimette la lettera in tasca e ne estrae un’altra, e un’altra ancora. «Guardi qua. Erano persone magnifiche».
Mezzo secolo dopo in banca tira un’aria diversa. A sfogarsi per i dipendenti odierni - «hanno disposizioni di non parlare alla stampa» spiegano i sindacati - sono i dipendenti di una volta, non meno arrabbiati e altrettanto numerosi. In Ticino sono riuniti in un’associazione, il Gruppo Animazione Pensionati (GAP) che esiste dal 1999 e conta ben 500 iscritti. Molto attivi e reattivi come un tempo, naturalmente «tristissimi» per quanto accaduto.
I bei tempi andati
«Siamo un gruppo coeso e ancora molto legato alla banca» dice Renato Bordoli, 74 anni, ex dirigente oggi presidente dell’associazione. Assieme ai membri del comitato - «sette in tutto, molto affiatati» - nei giorni scorsi ha scambiato pareri e ragionamenti, mentre cercavano di organizzare la prossima uscita di gruppo senza cedere troppo allo sconforto. Il 4 aprile visita alle cave di Arzo, a Mendrisio. Pranzo e merenda inclusi. Due mesi fa, sempre a Mendrisio una comitiva di pensionati della (ex) seconda banca elvetica ha visitato il Museo di arte ma, a pensarci ora, lo spirito era completamente diverso.
«Le cose sono precipitate in pochissimo tempo, da non crederci» commenta Bordoli. «Non ci siamo ancora ripresi dalla notizia». Anche lui davanti al disastro torna con la mente ai bei tempi andati. «La nostra banca era come una famiglia» racconta. «Ma era molto diversa da oggi. I rapporti tra colleghi una volta erano molto più intensi perché andavano al di là del lavoro, c’era un legame con il territorio». L’aperitivo in piazza Riforma dopo la chiusura degli sportelli, oppure al centro ricreativo La Cisterna di Sorengo dove si giocava a bocce e a tennis, «e magari le mogli e i figli erano già lì ad aspettarci» ricorda Bordoli. La domanda che lui e gli ex colleghi continuano a porsi - ma non solo loro - è come è potuto succedere.


Tu vuò fà l’americano
Per la risposta, forse, è utile tornare con la memoria a qualche decennio fa. Al volgere del nuovo millennio: proprio gli anni in cui (era il 2003) il Credit Suisse dismette La Cisterna, simbolo di un’epoca, regalandola a Lugano Turismo per un franco simbolico. «La gente non ci andava più, era l’epoca dei fitness-center all’americana, le abitudini non erano più le stesse» racconta Bordoli. Anche la banca era diventata più «americana». A cominciare dal top-management, che punta sempre di più sull’investment banking.
Sono gli anni in cui Brunello Perucchi matura una scelta difficile. «Non mi piaceva la piega che stava prendendo l’istituto» ricorda il 77.enne, allora responsabile del gruppo per tutta l’area mediterranea. All’apice di una carriera trentennale iniziata da apprendista nella filiale di Chiasso - «avevo quindici anni, ho fatto tutta la gavetta» - Perucchi a posteriori potrebbe dire di avere annusato la malparata. «Ho sempre sostentuto che la nostra forza era il legame con il territorio e che non dovevamo metterci a fare cose che non capivamo» spiega. «Per questo ho deciso di cambiare rotta e i fatti mi hanno dato ragione». Nel 1999 Perucchi entra da dirigente nella neonata BPS Suisse, di cui ancora oggi è vice-presidente seppur in pensione. «Abbiamo costruito una banca vicina alla gente e ai risparmiatori, quello che secondo me deve essere una banca e che era stato il Credito Svizzero per tanto tempo. È stata per me e per molti altri una grandissima scuola di vita e lavoro».
La lezione di Chiasso
Una delle lezioni più importanti, Perucchi l’ha imparata nel 1977 proprio a Chiasso. C’era anche lui nella filiale quando è scoppiato lo scandalo che trasformò (prima in negativo, poi in positivo) l’immagine del Credit Suisse inSvizzera e non solo. Un direttore e due vice-direttori in manette con l’accusa di amministrazione infedele, operazioni illecite per oltre un miliardo di franchi. «Noi dipendenti non ne sapevamo sostanzialmente niente, eravamo disorientati» ricorda. Ma a differenza di oggi l’istituto riuscì a reagire. Cambiò lo slogan - da «Verankert im Vertrauen», ancorati nella fiducia, a «Ska für alle da», Credito Svizzero per tutti - iniziò l’epoca delle sponsorizzazioni sportive e degli iconici berretti rossi e blu per bambini. Mentre l’immagine all’esterno si ripuliva, a Chiasso arrivò il nuovo direttore Bernasconi.


«Ci siamo compattati attorno a lui» racconta con orgoglio Perucchi. «Il segreto è stato metterci la faccia con i clienti». Il 77.enne ricorda ancora quando un’anziana signora gli si presentò allo sportello con tutti i risparmi: «Era la nonna di alcuni ragazzi miei conoscenti, a cui avevo concesso un credito per aprire un’officina». Disse che voleva depositare i soldi da lui. «Da me, come persona» precisa il bancario in pensione. L’ex direttore Bernasconi conferma che furono proprio le persone a fare la differenza. «Avevamo una squadra bellissima e molto motivata». A riprova racconta un aneddoto, su un consulente che venne da lui in lacrime dopo aver perso un’azienda cliente. «Era disperato. Cercai di consolarlo. Questa era la nostra banca».
Ogni tanto, Bernasconi riceve ancora lettere o inviti a cena dagli ex colleghi. La corrispondenza ora è diventata più intensa e a tratti polemica: ma le risposte dell’ex direttore sono piene di saggezza distaccata. Di persona non sempre riesce a partecipare ai raduni, per l’età. È contento però di sapere che qualcosa è rimasto e, ne è certo, rimarrà in futuro. Comunque andrà a finire i veterani continueranno a incontrarsi e a commemorare i bei tempi. «Dobbiamo essere fieri di aver trainato per 150 anni lo sviluppo del Paese» ha scritto il 90.enne in una riflessione inviata martedì agli iscritti dell’associazione. Mentre la rilegge gli tremano un po’ le mani e la voce. «Poi le cose vanno come devono» chiosa. «Fa parte della vita».