L'analisi

Forse era meglio nascere uomini, con salari più alti

Tra il 2018 e il 2020 ci siamo portate a casa in media 8.600 franchi l’anno di meno dei colleghi maschi
Prisca Dindo
27.11.2022 07:00

Complimenti. Complimenti davvero. Siamo nel terzo millennio, ma in Svizzera noi donne continuiamo a ricevere un salario molto più basso rispetto a quello degli uomini.  

Tra il 2018 e il 2020 ci siamo portate a casa in media 8.600 franchi l’anno di meno dei colleghi maschi. I fattori strutturali come il livello di formazione, l’esperienza o la posizione gerarchica spiegano solo parzialmente questo divario. La parte più consistente della differenza rimane senza spiegazione. Una quota ‘misteriosa’, come la definiscono gli esperti, che continua a crescere. Ciò significa che la nostra unica colpa è di essere nate donne. Per questa ragione «ci meritiamo» un portamonete più leggero.

Il morale cade a pezzi se leggiamo i dati pubblicati di recente dall’Ustat, l’ufficio federale di statistica: nonostante un leggero progresso, la discriminazione salariale Svizzera rimane la più alta d’Europa. Peggio! In seno alle amministrazioni federale, cantonali e comunali, la disparità «misteriosa» (quella che non dipende dalla gerarchia o dalla formazione) ha superato quella del settore privato.

Lo Stato parla bene ma razzola male. Servono a poco gli uffici per la parità di genere e le innumerevoli campagne di sensibilizzazione se la pubblica amministrazione è la prima che non rispetta le regole che essa stessa promulga. Nel settembre 2016, il consigliere federale Alain Berset ha varato la Carta per la parità salariale che è stata firmata dalla Confederazione, da diciassette Cantoni, sessantasette aziende parastatali, novantasette città e centoventi Comuni.

Nel 2021, celebrandone il primo quinquennio, il medesimo Alain Berset ha proclamato che «quando si tratta di promuovere la parità professionale, il settore pubblico deve essere d’esempio».

L’inferno è lastricato di buone intenzioni, si diceva una volta. Terminati i festeggiamenti si torna ai vecchi sistemi, e il settore pubblico si dimostra più maschilista del privato.

La Svizzera non è un Paese per donne. Per il diritto di voto e di eleggibilità abbiamo dovuto aspettare il 1971, cinquantatré anni dopo la Germania, cinquantadue dopo l’Austria, quarantaquattro dopo la Russia, ventisette dopo la Francia e ventisei dopo l’Italia. Nel 1991 ci volle uno sciopero al femminile - il primo della storia della Svizzera - per tradurre in legge l’articolo costituzionale votato dieci anni prima, quando i cittadini (donne e uomini) decisero che a pari lavoro e esperienza entrambi i sessi dovessero ottenere pari retribuzione.

Inutile poi ricordare che abbiamo dovuto attendere il 1996 per togliere le discriminazioni in materia di assicurazione malattia. Di fronte ai dati preoccupanti dell’Ufficio federale di statistica, Travail Suisse invita il Parlamento federale a lavorare su una nuova revisione della legge sull’uguaglianza, proponendo di rendere obbligatoria la verifica della parità di retribuzione in tutte le aziende con più di cinquanta impiegati, invece di cento come avviene adesso, a seguito della revisione del 2020. Dal canto suo l’USS, l’Unione Sindacale Svizzera, chiede miglioramenti salariali duraturi nelle professioni con un’alta percentuale di donne, come le pulizie, l’assistenza e la vendita al dettaglio. Difficile credere che questo nuovo fervore legislativo porti buoni frutti.

Tuttavia è giunta l’ora di dire basta a questa ingiustizia. Noi donne dobbiamo lottare per farci pagare come i colleghi maschi. È un diritto, non un’opzione. Altrimenti cosa racconteremo alle nostre figlie quando termineranno la loro formazione? Quando entreranno negli uffici o nelle fabbriche, o quando usciranno dalle università e dai politecnici fresche di diplomi come spiegheremo loro che quasi sicuramente i loro sforzi verranno compensati con paghe inferiori rispetto ai loro compagni uomini? Che sarebbe stato meglio nascere maschi invece di impegnarsi e studiare?