I trenta chilometri all’ora e una sicurezza non garantita

Quella andata in onda questa sera è stata una puntata de La domenica del Corriere all’insegna della mobilità, con al centro dell’attenzione la cosiddetta “moda dei 30 km/h”. Nelle nostre città, ma anche in periferia, la limitazione della velocità è sempre più diffusa, nei quartieri residenziali, così come in diverse zone di transito. Sullo sfondo si fanno pressanti diversi interrogativi. Ma non stiamo esagerando? È una questione di sicurezza o, piuttosto, di inquinamento acustico? O di fare cassetta grazie alle multe?
La genesi del fenomeno
Gianni Righinetti ha interpellato il direttore del Dipartimento del territorio, Claudio Zali, i sindaci di Lugano, Michele Foletti, e di Bellinzona, Mario Branda, l’avvocato Rossano Guggiari e l’ingegnere del traffico Gianfranco Del Curto. E Del Curto è stato il primo a prendere la parola illustrando la genesi del fenomeno, che non è ticinese: «I 30 km/h arrivano da lontano nel tempo e geograficamente, dal Nord dell’Europa, a metà degli anni Ottanta, spinti dagli incidenti, dall’inquinamento e dalla riduzione generale della velocità generale nelle località, passata da 60 km/h a 50 km/h - decisione che risale al 1984 -. Sono così nati gruppi spontanei che hanno spinto per misure incisive. È stata insomma un’esigenza nata dal basso. Nel nostro Paese, è stata la Svizzera tedesca a fare da apripista».
A codificare le zone 30-40 km/h è stata poi la Confederazione, e oggi Zurigo e Losanna premono sull’acceleratore per diffondere i 30 km/h. «In queste spinte vedo una forte componente ideologica - ha detto Zali -. Preferisco rimanere alle competenze e alle esigenze. I Comuni sono più o meno sovrani nel decidere, mentre per quanto concerne le strade cantonali, negli abitati, la regola resta quella dei 30 km/h - salvo eccezioni per tratti particolari -. Un 30 km/h generalizzato non è un tema per il mio Dipartimento».
In città
Bellinzona, per la sua conformazione, conosce la mobilità lenta, e Branda è un sindaco che si muove spesso in bicicletta: «La popolazione, sempre più spesso, chiede la moderazione del traffico. A oggi, abbiamo circa 23 zone 30/20 km/h. Spesso questo limite non viene rispettato: il 50% degli utenti viaggia più veloce. Personalmente sono favorevole a queste limitazioni. Rendo però attenti alla falsa sicurezza che possono generare queste decisioni».
E veniamo a Lugano, dove sul lungolago è stata adottata una regola ibrida: il limite dei 30 km/h, ma non si tratta di una “zona 30” nel senso stretto delle regole. «Se mi permettete una battuta, Lugano è stata la prima a inventare la mobilità lenta: nel senso che, con il traffico, non ci si muove, o lo si fa con estrema fatica. A Lugano, il lungolago rallentato è realtà dall’estate 2020, è una zona estremamente delicata e complicata. Ma pensare a una generalizzazione non va bene, neppure per il trasporto pubblico, il quale dovrebbe mettere in campo sforzi importanti per garantire la cadenza dei mezzi. C’è anche un problema di gerarchie. Una volta le auto viaggiavano a 50 km/h, e le bici a 15-20 km/h. Oggi, con i nuovi mezzi e con l’abbondante traffico, il paradigma si è ribaltato. I mezzi (bici e altro) elettrici viaggiano più veloci delle auto. In realtà, il problema non è tanto il limite dei 30 km/h. E dico no alla soluzione generalizzata. La realtà è che, a Lugano, siamo confrontati con il problema delle bici e dei monopattini elettrici. Al punto che non diamo autorizzazioni per il noleggio di questi mezzi sul territorio cittadino».
L’inquinamento acustico
«È tutta una questione di misura - ha aggiunto Guggiari -. Dobbiamo pensare ai nuovi mezzi. Un veicolo moderno a 50 km/h si ferma in meno di 10 metri, le auto elettriche non fanno rumore, e si tratta di non esagerare. Senza dimenticare il fatto che andiamo nella direzione della guida autonoma, con sistemi che permettono di fermarsi anche quando ci si distrae. Il problema di tutta questa questione è di credibilità: se metto il limite dei 30 km/h ovunque, la misura va fatta rispettare. E qui entra in campo la radarizzazione, già in atto e fortemente spinta. Se viaggio a 51 km/h sui 30 km/h (anche di notte senza pericoli) la patente salta per un mese. Con una velocità, esagero, di 71 km/h, si diventa pirati della strada, con pesanti conseguenze».
E sul rumore, che cosa dire? Guggiari: «Beh, ci sono altri sistemi per ridurlo: l’asfalto fonoassorbente, l’auto elettrica e altro. Il motorino a 30 km/h fa più rumore». Tema sul quale Righinetti si è rivolto a Zali, che da sempre coltiva la passione per i motori e per il rally. Che cosa ne dice? «Il rally capita una volta all’anno. È corretto guardare al tipo di veicolo. Ci sono motori a due tempi smarmittati che producono forte rumore, e lo stesso vale per certe moto, guidate da adulti rimasti eterni bambini. L’elettrico ha grandi vantaggi, e spesso ci si dimentica che ci sono, da una parte, pneumatici che riducono il rumore e, dall’altra, il nuovo asfalto fonoassorbente, sul quale il Cantone sta investendo. Spesso tale asfalto fa dire: “Mi hanno spento il motore”; ma dopo qualche mese le prestazioni scendono. Eppure è su questo fronte che occorre insistere».
I radar anti-rumore
Zali insiste: «I problemi sono altrove, generati ad esempio dalle bici e dai mezzi elettrici che stanno creando forti conflitti con il traffico veicolare». Branda ha rilanciato, affermando che «la questione del rumore è importante, e Bellinzona, attraversata dall’autostrada, lo sa bene». In conclusione, Foletti ha affermato di essere favorevole «ai radar anti-rumore, destinati a chi fa rumore inutilmente, ma il vero conflitto si sta formando tra chi si muove sui mezzi elettrici e i pedoni. E a Lugano lottiamo per questo, ma non è semplice». Insomma, si fa presto a dire zona 30 km/h, ma insicure stanno diventando quelle stesse zone che si pensava di securizzare con grandi limiti e spendendo molti soldi. Perché la moderazione del traffico, che piace tanto ai cittadini, costa davvero un sacco ai Comuni e, infine, ai cittadini stessi.