Formazione

Basta divisioni: l’apprendistato è vincente per tutti

Le ragazze e i ragazzi che scelgono questa strada sono un’eccellenza per aziende e territorio
Martina Ravioli
19.05.2022 06:00

È trascorso quasi un secolo ed è cambiato il mondo. La meta è lungi dall’essere raggiunta, ma di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia dall’inaugurazione della «Saffa» -Schweizerische Ausstellung für Frauenarbeit, Esposizione nazionale del lavoro femminile - del 1928. Organizzata dall’Alleanza delle società femminili svizzere (ASF), voleva accendere i riflettori sulla situazione precaria delle donne professionalmente attive e del loro apporto in famiglia, sul lavoro, nella scienza e nell’arte. Oggi questo apporto è sdoganato, anche se cicliche sono le lotte per un’effettiva parità. Tanto sdoganato da aver dato vita anche al problema opposto: percorsi formativi e ruoli professionali tipicamente femminili e altri più maschili. Statistiche alla mano, in Ticino, le ragazze scelgono più frequentemente il liceo (58% degli studenti sono ragazze) rispetto alla formazione professionale (circa 41%) e spesso l’apprendistato viene considerato, a torto, una scelta meno importante e qualificante. Non è così e non deve continuare ad esserlo.

Superare la divisione dei ruoli è parte di un percorso di cambiamento culturale
Sara Grignoli Mammoli, collaboratrice scientifica DECS

La visione del DECS

«Nei cantoni romandi vi è una percentuale minore di giovani che scelgono la via della formazione professionale e ciò è dovuto, indubbiamente, ad un fattore culturale. Proprio su questo noi cerchiamo di intervenire, accompagnando i ragazzi e le famiglie ad una scelta consapevole. A questo si somma la «questione di genere» che è ambivalente: cerchiamo di incentivare, attraverso l’iniziativa «Nuovo Futuro» (nuovofuturo.ch), la conoscenza del mondo del lavoro e delle possibilità di formazione a tutto campo, proponendo ai ragazzi della scuola media di provare lavori atipici» spiega Sara Grignola Mammoli, collaboratrice scientifica della Divisione della formazione professionale del DECS. «Superare la divisione dei ruoli è parte di un percorso di cambiamento culturale. Nelle aziende notiamo grande apertura e anche i ragazzi mostrano di vivere questo cambiamento. In particolare, vediamo molta consapevolezza nelle ragazze che affrontano un percorso considerato ancora, purtroppo, atipico. Sono consce di eventuali difficoltà, ma anche delle grandi potenzialità di una scelta non scontata» afferma Grignola Mammoli che continua: «Gli apprendistati sono molto impegnativi. Richiedono competenze e ne formano di ulteriori. Spesso mi trovo a dire che i nostri ragazzi hanno una marcia in più ed è vero. Anche il vecchio stereotipo che per alcuni lavori ci vuole forza fisica è in gran parte superato dalla tecnica. La nostra difficoltà sta proprio nel far vedere l’innovazione e nel farci attori attivi del cambiamento culturale. Oltre che per la questione di genere, ci teniamo a rendere attenti giovani e famiglie che l’apprendistato è una scelta di valore che consente, volendo, di arrivare anche all’università. Chi inizia un percorso ha poi sempre il diritto di cambiare: la vera sfida è abbinare domanda e offerta. Nel 2021 abbiamo avuto il record di nuovi contratti d’apprendistato degli ultimi 10 anni; inoltre da quest’anno il Ticino ha introdotto l’obbligo formativo fino ai 18 anni. Questo significa che tutti i ragazzi vengono contattati e seguiti. Anche uno stage preliminare in azienda può aprire la strada a possibilità magari prima non considerate».

La realtà aziendale

«Non ho mai sentito di casi di discriminazione di genere tra gli apprendisti dei nostri associati» esordisce Daniela Bührig, vice-direttrice di AITI, che spiega: «Quando, come AITI, presentiamo le tante possibilità di apprendistato e formazione professionale, ci teniamo molto a dire che l’azienda è anche donna. Con questo intendiamo sia affermare che il mondo del lavoro industriale è aperto sia ribadire l’importanza della diversità. Inoltre, per molti lavori, serve delicatezza e precisione e in questo le ragazze possono essere avvantaggiate. È difficile invertire la tendenza e, come già sottolineato dal DECS con cui collaboriamo strettamente anche per «La città del mestieri» (cittadeimestieri.ti.ch), la ricerca di apprendisti non è sempre facile. Il mondo della formazione professionale chiede alte competenze e ingegno. È finito il tempo in cui veniva avviato all’apprendistato il ragazzo che non aveva voglia di studiare. Anzi, dirò di più, l’impegno ripaga. Le aziende, infatti, apprezzano moltissimo le competenze pratiche e i giovani che, dopo aver fatto un apprendistato e un anno passerella, arrivano al conseguimento di una laurea, sono sicuramente avvantaggiati nella successiva ricerca di un lavoro rispetto a chi ha fatto studi puramente teorici». Flessibilità, formazione continua e relazione sono le tre parole ricorrenti nella chiacchierata fatta con Daniela Bührig. «Il mondo del lavoro sta cambiando e i datori di lavoro sono sempre più simili a degli allenatori e come questi conoscono il valore della motivazione e della diversità che, quando trasformata in inclusione, porta valore. A parità di competenze si cerca il migliore e anche il «più diverso» proprio perché dall’eterogeneità nasce l’innovazione. Le ragazze, quindi, hanno di sicuro grandi chance nel mondo industriale. Bisogna poi considerare l’importanza della formazione continua. Circa il 65% dei ragazzi oggi in formazione, farà un domani lavori che non esistono ancora. In quest’ottica si può affermare che i giovani hanno davanti a loro delle sfide molto importanti. Inoltre, la competizione nel modo del lavoro viene ormai fatta su scala globale e servono lavoratori formati» chiosa la Vice-direttrice che conclude con una riflessione: «La sfida va accolta con flessibilità sia da parte dei giovani, ragazzi e ragazze, che da parte delle aziende. La generazione Z ha una visione del mondo diversa da quelle che l’hanno preceduta, la comunicazione è più immediata, non crede e non riesce ad uniformarsi alla gerarchia verticale, ci pone davanti a rapporti talvolta conflittuali e il confronto, con i diretti interessati e con le famiglie, non è sempre facile. Al contempo si tratta di giovani flessibili, che usano la tecnologia in modo sorprendente, con idee e ideali forti. Nei prossimi anni ci sarà carenza di manodopera e le aziende devono diventare sempre più attrattive. La leadership inclusiva è la strada».

Ci basiamo ancora sull’idea che i risultati scolastici definiscano se uno studente sia bravo o no, meritevole o no
Cecilia Beti, direttrice del Centro Professionale Tecnico Lugano-Trevano

La sfida della scuola

Da una riflessione a 360° gradi su pregi e difetti del sistema scolastico parte, invece, Cecilia Beti, direttrice del Centro Professionale Tecnico Lugano-Trevano: «Ci basiamo ancora sull’idea che i risultati scolastici definiscano se uno studente sia bravo o no, meritevole o no e, a seconda di questi risultati, si ha la pretesa di indirizzarlo verso un determinato tipo di istruzione. Nelle scuole professionali cerchiamo di ribaltare anche questo stereotipo e lavoriamo molto sull’autostima: qui conta, soprattutto, l’interesse attivo dei ragazzi. Spesso l’abbinamento delle attività teoriche con quelle pratiche stimola l’interazione e ci aiuta a responsabilizzare i giovani. Questo succede sia alla SAM (Scuola d’arti e mestieri) che è una scuola a tempo pieno sia, in misura maggiore, con gli apprendistati veri e propri. Qui i giovani si sentono parte di una realtà, quella aziendale, che beneficia, o al contrario può venir svantaggiata, dalle loro azioni. La funzione responsabilizzante è dunque molto forte, come anche quella sociale. Si deve creare un rapporto positivo e quando, malauguratamente, si arriva allo scioglimento anticipato di un contratto d’apprendistato, la maggior parte delle volte è proprio perché qualcosa nell’interazione tra le parti - apprendista e responsabile - non ha funzionato». Se ormai è chiaro che istituzioni, scuola e mondo del lavoro riconoscono l’importanza e il valore degli apprendistati per ragazzi e ragazze, questi come vivono nella quotidianità una scelta non così scontata? «Quest’anno abbiamo 1.311 studenti di cui 982 maschi e 329 femmine» esordisce Beti che chiarisce: «Questo dato è inerente a tutte e tre le nostre realtà scolastiche, cioè SAM, SPAI (Scuola professionale artigianale, industriale) e SSST (Scuola specializzata superiore di tecnica), ma la differenza di presenza maschile e femminile è accentuata soprattutto nei percorsi duali, cioè quelli che alternano lavoro e scuola, rispetto ai percorsi solo teorici. Le ragazze, nel momento in cui scelgono un percorso non scontato, sono molto consapevoli e orientate al futuro. I ragazzi, talvolta, sono più propensi a seguire il gruppo e fanno scelte meno orientate sul lungo periodo. Questo porta a situazioni in cui la presenza di una sola ragazza in una classe interamente maschile può diventare molto positiva, ma non priva di ostacoli. L’accoglienza dei compagni è generalmente ottima e io cerco sempre di avere insegnanti donne nelle professioni tecniche, sia perché la diversità è un valore, sia perché trovo che l’esempio sia fondamentale. C’è, però, da essere consapevoli che una ragazza può vivere dei momenti di difficoltà e a volte le famiglie hanno il timore, in gran parte ingiustificato, di inserire le figlie in un ambiente che non ritengono consono. In realtà spesso sono proprio i datori di lavoro a cercare figure femminili poiché le reputano più responsabili di fronte alle problematiche». Una direttrice dalle idee ben chiare e con obiettivi ambiziosi si rivela dunque Cecilia Beti che lancia un appello: «La pandemia ci ha aiutato a diventare più flessibili e ci siamo resi conto di come, con un po’ di sforzo, tutti hanno reagito al meglio e hanno saputo adattarsi. Questa flessibilità deve ora rimanere. Dobbiamo concentrarci sull’identità della persona, dobbiamo coinvolgere i nostri giovani. L’apprendistato è un dialogo e la formazione è imprescindibile dalla partecipazione attiva e costruttiva di ragazze e ragazzi».

Una spazzacamino per passione

Galeotto fu lo stage nel caso di Angelina Ramadanski al secondo anno di formazione per diventare spazzacamino. «Alla scuola media abbiamo dovuto fare diversi stage di una giornata. Siccome da noi a casa veniva sempre lo stesso spazzacamino, ho chiesto a lui di poter fare alcuni giorni di stage nella sua azienda e mi è piaciuto così tanto che d’estate ho continuato un periodo di prova e con l’autunno ho iniziato l’apprendistato» racconta la giovane, che ora frequenta il secondo anno a Trevano, alternando lavoro in azienda con un giorno di scuola a settimana. Angelina ha un primato: è la prima spazzacamino donna della Mesolcina, ma anche in Ticino le donne si contano sulle dita di una mano. «Ho scelto questo lavoro perché mi piace avere un’attività variata e il contatto con le persone. Spesso i clienti, quando mi vedono arrivare, esclamano «Ma che bello una ragazza che fa la spazzacamino!» e sono curiosi e sorpresi. Mi piace rispondere alle tante domande che mi fanno e dimostrare che anche una donna può fare questo lavoro senza problemi» spiega Angelina. E alla domanda se mai si è sentita discriminata, la risposta di questa giovane donna dalle idee ben chiare è netta: «No, mai. In azienda siamo in 8 e sono l’unica ragazza, ma i colleghi uomini mi hanno sempre trattato con rispetto e serietà. All’inizio è stato difficile abituare il corpo al lavoro fisico, ma ora, grazie all’esperienza e alle giuste tecniche, non ci sono problemi. Certo è, però, che nel mio tempo libero preferisco disegnare e uscire con gli amici piuttosto che fare sport. Faccio già abbastanza fatica sul lavoro!». Sorride Angelina, anche quando ci spiega come famiglia e amici hanno accolto la sua decisione: «La mia famiglia mi ha sempre sostenuta. I miei amici spesso invidiano la mia scelta un po’ particolare e i miei ex compagni di classe delle medie, che all’epoca pensavano ad uno scherzo, ancora oggi sono sorpresi quando mi capita di incontrarli e dico loro che sì, sto facendo proprio la spazzacamino ed è quello che voglio fare nella vita».

«Dopo la scuola media ho provato diversi lavori, ma nessuno sembrava fare al caso mio
Matteo D'Angelis

Quando l’empatia è al maschile

«Dopo la scuola media ho provato diversi lavori, ma nessuno sembrava fare al caso mio. Un giorno mio padre, sul sito orientamento.ch, ha trovato una proposta del Cantone per uno stage e da lì... mi si è aperto un mondo». Inizia così il percorso di Matteo D’Angelis, all’ultimo anno di formazione per diventare «impiegato di economia domestica», attività ancora principalmente declinata al femminile: «Sul lavoro ho molti colleghi uomini, ma a scuola siamo solo due ragazzi in una classe di una dozzina di persone. Ovviamente, all’inizio, non è stato facilissimo perché, come è normale che sia, mi sono chiesto cosa avrebbero pensato gli altri di una scelta così particolare. Poi però mi sono detto che il futuro è il mio, non quello dei miei amici e così ho trovato la mia dimensione. E poi ho capito che gli stereotipi sono superati e che è giusto che ognuno faccia ciò che vuole». La famiglia ha sempre sostenuto Matteo mentre gli amici sono a volte un po’ scettici, ma non tanto per il tipo di lavoro quanto per il luogo: l’OSC di Mendrisio. E, se all’inizio il rapporto con l’utenza gli creava timore, ora Matteo riconosce che si tratta di un’esperienza arricchente: «Di questo lavoro mi piace la variabilità. In un anno svolgo 4 periodi di 3 mesi ciascuno in differenti settori: cucina, lavanderia, amministrazione e settore alberghiero. Quest’ultima attività è stata inizialmente quella più complessa da gestire. Per accedere alle camere degli utenti ed interfacciarsi con aspetti così intimi della loro vita, ci vuole molta empatia e capacità di entrare in relazione con le persone. Ma anche il lavoro in team è una parte fondamentale di questo percorso. Infine, non bisogna dimenticare la fatica fisica. Può sembrare banale, ma non è così semplice stare tutto il giorno in piedi». E cosa direbbe questo apprendista, ormai prossimo agli esami finali, ad un ragazzo della scuola media che non sa bene che strada scegliere? «Gli direi che l’apprendistato non è così facile come sembra e che non bisogna mai fare l’errore di pensare che se non si va bene a scuola, scegliere un apprendistato permette di non fare troppa fatica. Anche la mia formazione, che a prima vista può sembrare semplice, richiede molto impegno perché spazia in tanti ambiti e l’attenzione deve sempre essere al massimo, sia a scuola che sul lavoro. Serve poi molta flessibilità di orario e un grande senso di responsabilità. Soprattutto, però, gli direi di provare tante esperienze diverse e di non fermarsi all’apparenza. Se non si sa cosa fare, la cosa migliore è provare! Se poi si capisce che la strada scelta non fa per noi si può sempre cambiare e alla fine anche una professione che mai ci si sarebbe sognati di svolgere, può invece diventare proprio quella adatta. Io ne sono la prova vivente! All’inizio l’idea di lavorare, ad esempio, in lavanderia non mi convinceva del tutto, ma ora vado al lavoro felice. Inoltre, io intendo l’apprendistato come un trampolino di lancio verso il futuro. Il mio sogno è fare tante esperienze all’estero, imparare bene l’inglese, frequentare un’ulteriore formazione in ambito alberghiero e crearmi una carriera». E noi ci crediamo. Crediamo che Matteo, Angelina e tutti gli altri apprendisti che hanno avuto il coraggio di scegliere il loro percorso, al di là degli stereotipi, possano diventare dei professionisti affermati, apprezzati e, soprattutto, soddisfatti: una risorsa per se stessi e la società.