Curiosità

Una dolce eccellenza

Il cioccolato è uno dei grandi simboli economici e alimentari svizzeri. Ma come è nata, in un Paese così lontano dai suoi luoghi di produzione, questa rinomata e invidiata tradizione?
Giubiasco, una fase di produzione di Chocolat Stella, fabbrica di cioccolato svizzero. © Ti-Press / Alessandro Crinari
Mauro Rossi
10.02.2023 11:33

Non lo abbiamo inventato noi, non coltiviamo i suoi ingredienti principali e non siamo neppure i suoi maggiori produttori a livello mondiale (anche se in quanto a consumo siamo ai vertici assoluti...). Eppure quando in giro per il mondo facciamo capire che proveniamo dalla Svizzera, la prima cosa che ci chiedono e che conoscono del nostro Paese è il cioccolato, che da oltre un secolo rappresenta uno dei nostri simboli ma anche la principale eccellenza a livello alimentare. Ma come mai quello che i Maya e gli Atzechi consideravano un qualcosa di talmente straordinario da soprannominarlo «Cibo Degli Dei», usando i semi di cacao come valuta e consumando la bevanda da essi ricavata durante i banchetti regali e nei riti sacri, è divenuto l’emblema di una piccola nazione incuneata tra le montagne e lontanissima da quei climi caldi che favoriscono la sua produzione?

Da Cibo degli Dei a bevanda regale

È una storia lunga e abbastanza complessa, strettamente legata alla diffusione che cacao e cioccolato hanno avuto al di fuori del Centro America a partire dai primi del Cinquecento. Se infatti il primo europeo a entrare in contatto con questo alimento fu Cristoforo Colombo, lo stesso traversò per la prima volta l’Atlantico solo una trentina d’anni dopo, nel 1520, quando il conquistatore Hernán Cortés, dopo aver visitato la corte di Montezuma a Tenochtitlan, portò in Spagna un carico di cacao donatogli dall’Imperatore.

All’inizio, a causa del suo sapore amaro, il cacao fu usato prevalentemente come medicina contro alcuni disturbi. Poi alcuni frati gesuiti – grandi esperti di miscele e infusi – iniziarono a sostituire gli ingredienti originariamente aggiunti al cacao dai nativi Americani (mais, miele, chilli e pepe) con lo zucchero di canna e la vaniglia, ricavandone una bevanda dolce e gustosa dalla quale deriva l’odierna cioccolata calda. Bevanda che, molto apprezzata dalla corte spagnola, favorì non solo un’importazione regolare di cacao dal Nuovo Mondo, ma anche la creazione di piantagioni nelle regioni a ridosso dell’Equatore sotto il dominio delle principali nazioni europee. Nonostante il grande interesse suscitato dalla bevanda, tuttavia, per lungo tempo la stessa rimase un lusso riservato a pochi: basti pensare che nel 1615, il re francese Luigi XIII sposò Anna d’Austria, figlia del re spagnolo Filippo III e per celebrare l’unione, lei portò alcuni campioni di cioccolato alle corti reali di Francia.

L’ingegno elvetico

Per trasformare il cioccolato nel prodotto popolare che tutti conosciamo, si dovette dunque attendere un paio di secoli. I primi anni dell’Ottocento, in particolare, quando il chimico olandese Coenraad Johannes van Houten scoprì un modo per trattare i semi di cacao con sali alcalini per ottenere un cacao in polvere più facile da mescolare con l’acqua. Il processo divenne noto come «lavorazione olandese» e il cioccolato prodotto fu chiamato cacao in polvere o «cacao olandese». Successivamente van Houten realizzò anche la pressa per il cacao, che separava il burro di cacao dalle fave di cacao tostate per produrre facilmente e in modo economico cacao in polvere, alla base di tutti i preparati per la creazione del cioccolato. Ed è proprio in concomitanza con questa scoperta che la Svizzera iniziò a fare il suo ingresso in questo dolce universo.

Il primo personaggio che ne aprì le porte fu il vodese François-Louis Cailler (1796-1852) che dopo aver passato quattro anni a Torino come apprendista cioccolataio, tornò nella sua Vevey trasformando un vecchio mulino nella prima fabbrica meccanizzata di cioccolato dove perfezionò e brevettò una tecnica, appresa in Piemonte, per rendere solido il cioccolato, il che gli permise di creare le prime tavolette di cioccolato. La successiva grande innovazione avvenne nello stesso ambito famigliare: il genero di Cailler, Daniel Peter, dopo aver imparato l’arte da suo suocero e fondato a sua volta un’azienda produttrice di cioccolato a Vevey, utilizzò l’idea di un suo vicino e amico – un immigrato tedesco di nome Henri Nestlé che aveva sviluppato un prodotto a base di latte in polvere – mescolando questo prodotto con il cacao e inventando in tal modo il cioccolato al latte. Più o meno in contemporanea il giovane pasticciere bernese Philippe Suchard aprì una fabbrica di cioccolato a Serrières, nel cantone di Neuchâtel, che dotò di un apparecchio di sua invenzione, il «mélangeur», una macchina che mescolava e macinava lo zucchero e il cacao fino a renderli una pasta omogenea. Nel frattempo un altro giovanotto dotato di grande creatività, Charles-Amédée Kohler, aprì una fabbrica di cioccolato vicino a Losanna nel 1830 introducendo un’altra novità commerciale: il cioccolato confezionato in barrette. In quella fabbrica lavorava anche un lontano cugino di Kohler: Rudolf Lindt, che a sua volta ideò un procedimento (il concaggio) che permette non solo di masticare il cioccolato ma anche di farlo sciogliere in bocca. Il tutto grazie a una macchina da lui messa a punto che comporta – come spiegava lo stesso Lindt, nel frattempo messosi in proprio a Berna – «un lungo processo di rimescolamento, scuotimento e aerazione del cioccolato liquido riscaldato, per eliminare acidità e amarezza».

Furono dunque questi pionieri (al cui elenco, per completezza, andrebbero aggiunti i nomi di altri intraprendenti industriali quali Jean Tobler, Rudolf Sprüngli, Aquilino Maestrani, Robert e Max Frey, Jean-Samuel Favarger, Camille Bloch, Rudolf Läderach, Otto Kägi, Jean Tschirren, Max Felchlin e Walter Gysi) a trasformare la Svizzera nel tempio del cioccolato del quale, nonostante la globalizzazione, le innovazioni tecniche e tutti i mutamenti economico-sociali dell’ultimo secolo, continua a essere un indiscusso punto di riferimento. E questo grazie all’elevata qualità della sua produzione, a innovative ricette e a un costante miglioramento dei processi di produzione che fanno dello «Swiss Chocolate» una delle golosità più apprezzate del pianeta.

Quasi un secolo di alta qualità e di sostenibilità

Sono attualmente sedici le fabbriche di cioccolato attive in Svizzera. Tra queste anche la ticinese Chocolat Stella, con sede a Giubiasco che si sta apprestando a festeggiare i suoi primi cent’anni di attività. «L’azienda fu fondata nel 1928 a Lugano, in zona Molino Nuovo dalla famiglia Vanotti», spiega la direttrice Alessandra Alberti (nella foto). «E a Lugano vi è rimasta fino al 1988 quando, a causa dell’impossibilità di ingrandire la sede, fu deciso di costruirne una nuova a Giubiasco. Già qualche anno prima tuttavia non essendoci più nessuno della famiglia Vanotti intenzionato a portare avanti l’attività, la stessa fu ceduta alla famiglia Müller di Kreutzlingen, già proprietaria della Chiocolat Bernrein». Un cambio societario che tuttavia non ha modificato l’attività dell’azienda. «Pur facendo parte dello stesso gruppo, abbiamo potuto mantenere la nostra specificità», conferma Alberti. «Noi della Chocolat Stella (che occupa attualmente 65 persone) ci siamo specializzati su prodotti di “nicchia” che spesso le grandi aziende non riescono a curare in quanto si tratta di quantitativi troppo piccoli per loro: cioccolato bio, fair trade, con ingredienti regionali e tante ricette personalizzate su misura secondo le richieste dei singoli clienti: prodotti che vendiamo in Ticino, Svizzera e in più di 50 Paesi diversi in alcuni casi con il nostro marchio, ma in massima parte con il marchio del cliente». Cioccolato che ha comunque un comune denominatore: l’elevata qualità della lavorazione. «Visto che realizziamo prodotti di nicchia la qualità è fondamentale, a partire dalle materie prime che acquistiamo da piccole cooperative di 20 Paesi diversi. E grazie alle quali siamo in grado di elaborare circa 300 ricette di base, ognuna poi personalizzabile alla bisogna. Si va dai vari tipi di cioccolato nero fondente, al cioccolato vegano (soprattutto quello bianco che invece del latte utilizza mandorle oppure cocco, avena…) a quelli «Halal» e «Kosher» che rispettano i rigidi dettami di produzione dettati dalle leggi islamiche e ebraiche. Il tutto con grande attenzione alla sostenibilità: «Da sempre la nostra azienda è sensibile a tematiche sociali e ambientali tanto da ricevere numerosi riconoscimenti in merito. E questo, unito all’estrema qualità del nostro cioccolato nostri prodotti, è il nostro grande vanto». 

La direttrice di Chocolat Stella a Giubiasco, Alessandra Alberti. © TiPress / Alessandro Crinari
La direttrice di Chocolat Stella a Giubiasco, Alessandra Alberti. © TiPress / Alessandro Crinari