A Lugano il 2040 non è tra 15 anni

Il 2040 è lontano. Quasi troppo per crederci davvero. Oggi sappiamo che il domani è già quasi ieri e che il futuro è un concetto che non ha più alcun senso misurare secondo i parametri che utilizziamo quotidianamente. Se volessimo provare a elencare gli esempi ci ritroveremmo a vivere in costante ritardo nei confronti di noi stessi: basterebbe pensare alla visione, vacua e ideologicamente conservatrice, della Lugano 2050 che ha già fatto molto discutere. Leggere allora su un pannello informativo davanti al Palazzo dei Congressi che la realizzazione del polo turistico congressuale sul sedime dell’attuale Campo Marzio sarà completata tra quindici anni non può dunque non indurre a qualche preoccupazione, visto che la nostra consolidata abitudine al ritardo - progetto del tram treno insegna - potrebbe tranquillamente dilatare ancora di più la già ampissima gestazione di un’iniziativa di cui si parla quasi da sempre ma che per ora è soltanto carta.
L’operazione di sostituzione della struttura esistente, tanto utile almeno quanto spesso vituperata e comunque già condannata alla demolizione è assolutamente necessaria, ma nasconde come sempre il rischio di una obsolescenza addirittura prenatale: due decenni sono infatti oggettivamente troppi per pensare di poter immaginare quali saranno le autentiche necessità del turismo congressuale e per garantire la reale capacità concorrenziale del polo sul mercato al momento della consegna. Il problema è tutt’altro che semplice e meriterebbe quindi la presa in considerazione di qualche alternativa, magari meno «pesante» ma anche meno smaccatamente provvisoria come quella che come ogni anno si sta allestendo all’interno del parco Ciani. A Lugano il motto fa e disfà l’è tüt un laurà dei nostri nonni è all’ordine del giorno: si porta, si monta, si smonta e si riporta di tutto: casette, palchi, tendine e tendone, in estate e in inverno. Ci fossero anche i ponti ce ne sarebbe da far invidia a qualsiasi battaglione del genio.
Eppure, proprio l’idea originale di quella tensostruttura, imponente, dalla collocazione e dalla forma bene integrate nel contesto e tutt’altro che banali, non mi sembra da buttare. Sviluppandola con l’indispensabile delicatezza si potrebbe immaginare anzi che quel particolare settore del parco - dal tappeto erboso spesso martoriato negli ultimi anni, in zona prevalentemente ombrosa e perciò non frequentatissima - dal punto di vista funzionale ed estetico potrebbe sopportare l’intrusione di una costruzione stabile. Sento già incombere la minaccia di essere accusato di eresia ma provo lo stesso a lasciar correre la fantasia: l’opera che vedrei idealmente immersa nel verde - provate a entrare al centro del cantiere e alzate lo sguardo: ne vale davvero la pena - dovrebbe essere bella e leggera come sempre è il vetro, di una modernità che incontrerebbe l’eleganza classica dei grandi padiglioni di tanti giardini d’inverno. Un manufatto del genere permetterebbe di evitare il triste spettacolo del pavimento rialzato e delle immense coperture in plastica che fanno tanto festa campestre. E ancora: una struttura modulabile nelle dimensioni e adatta alle più svariate attività, una spettacolare e suggestiva serra tecnologica nel cuore di un parco bellissimo, con vista sul lago e protetta dalle fronde degli alberi.