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Abusi (anche) di potere

Il caso di Don Leo riaccende il dibattito sul maschilismo nella Chiesa – La «parroca» di Lugano: «Sistema sbagliato»
© CHRISTIAN BEUTLER
Davide Illarietti
18.08.2024 06:00

È la domenica delle critiche. Nella seconda messa domenicale dopo l’arresto di don Rolando Leo, avvenuto mercoledì 7 agosto - ma reso noto nei giorni successivi - ad attendere i fedeli ticinesi al rientro dalle vacanze ci sono (per chi se le fosse perse) ancora prediche. Non arrivano dai pulpiti dove i parroci - salvo ritardatari - hanno già letto mercoledì una missiva dell’amministratore apostolico Alain de Raemy, in cui si esprimevano «amara sorpresa, profondo dolore e grandi interrogativi» per la carcerazione preventiva del sacerdote di Ascona. Al dibattito sui fatti - l’ultima inchiesta per abusi sessuali all’interno della Chiesa, condotta dalla procuratrice Valentina Tuoni - si è sovrapposto nei giorni scorsi quello sul metodo: de Raemy in persona aveva ricevuto una segnalazione già a febbraio da parte di una delle presunte vittime. Qualcuno (l’associazione dei Liberi Pensatori e l’Mps con un’iniziativa parlamentare, venerdì) ha invocato un «obbligo di denuncia» per il clero in presenza di abusi anche solo riferiti.

«Denunciare subito»

Ma le critiche, questa volta, vengono anche dai pulpiti delle Chiese «confinanti». E da voci significativamente femminili. La prima a prendere posizione è Elisabetta Tisi, parroca della chiesa cattolica vetero-cristiana di Lugano, che conosce «da diversi anni Don Leo per avervi collaborato nell’ambito dell’ecumenismo». Il sacerdote 55.enne infatti non era attivo solo nella Pastorale giovanile e nella Commissione cantonale per l’integrazione degli stranieri (il Consiglio di Stato venerdì ha confermato al Cdt la sospensione) ma era anche vice-presidente della comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Ticino (Clcct): incarico in cui è ora sostituito «provvisoriamente in attesa dei chiarimenti giudiziari».

La sorpresa, anche qui, è stata grande. «Non me lo aspettavo assolutamente, in particolare da questo sacerdote, e attendo l’esito dell’inchiesta» continua Tisi, che dopo studi teologici è diventata nel 2017 la prima «prete donna» in Ticino nell’ambito del dissenso cattolico. «Gli abusi sessuali sono frutto di un sistema più grande basato sul predominio maschile e sull’abuso di potere» incalza. «A prescindere dal caso specifico, il problema è un certo maschilismo che è alla base della violenza nella chiesa come nella società. È una cosa che diciamo da sempre».

La Chiesa cattolica vetero-cristiana conta un centinaio di fedeli in Ticino, dove è approdata a inizio Novecento: oltre al sacerdozio femminile prevede l’elettività delle cariche ecclesiastiche e protocolli «molto severi» in caso di abusi sessuali. «Una semplice segnalazione per noi è sufficiente ad avviare un’inchiesta, affidata a un’agenzia esterna, a cui segue immediatamente la denuncia penale» sottolinea Tisi.

«Una differenza importante»

Lo stesso avviene all’interno della Chiesa evangelica riformata. Recenti direttive condivise dai «pastori» e della «pastore» prevedono l’obbligo di denuncia alla magistratura «in presenza della notizia di un possibile reato» e sono state adottate «a seguito di un processo democratico svoltosi all’interno della comunità» ricorda la pastora della Mesolcina Susanne Ortmann. Nei vicini Grigioni la componente femminile nel clero evangelico «è ormai predominante» sottolinea Ortmann, quindi la questione del «maschilismo» si pone di meno. «Penso comunque che alla base del problema degli abusi ci sia anzitutto un’affettività malata. I pastori evangelici possono avere una famiglia, è una differenza importante anche se non è una garanzia. Quando capitano degli abusi, comunque, la reazione deve essere netta: non vanno tollerati in nessun modo».

Il ruolo delle donne

Non che la Chiesa romana chiuda un occhio, anzi. A poco meno di un anno dalla pubblicazione dell’indagine dell’Università di Zurigo, che a settembre scorso portò alla luce circa un migliaio di casi di abusi in ambito ecclesiastico, anche la Diocesi di Lugano ha fatto i «compiti a casa». Il lavoro della Curia e dell’amministratore apostolico De Raemy in primis «sta iniziando a dare i suoi frutti, grazie alla sensibilizzazione sul territorio e all’invito alle vittime a farsi avanti» sottolinea la presidente dell’Unione femminile dell’Azione cattolica Corinne Zaugg. «Anche l’emergere di quest’ultimo caso, denunciato direttamente all’amministratore apostolico, mostra che si è creato un nuovo clima di fiducia».

Vero è, ammette Zaugg, che il clericalismo ancora diffuso favorisce il perpetrarsi, in seno alla Chiesa, di abusi di potere «di cui gli abusi sessuali non sono che una delle espressioni». È la radice del problema indicata dallo stesso Papa Francesco, del resto. «L’atteggiamento di attribuire eccessiva importanza al clero crea relazioni asimmetriche che possono essere presupposti dell’abuso» conclude la presidente dell’Unione femminile. «Se ci fermiamo alla denuncia dei singoli casi, pur sacrosanta, non estirperemo la piaga». La soluzione? Potrebbe passare, suggerisce Zaugg, proprio da un ruolo più attivo delle donne nella Chiesa. Ma anche da un’iniezione di «femminilità» come cultura delle relazioni e della sensibilità. Che è il miglior antidoto contro gli abusi.

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