Il commento

Accostare Israele ai nazisti non aiuta chi cerca la pace

Quando monta la rabbia, quando l’odio prevarica la ragione, può succedere che invece di invocare la pace, una pace sacrosanta e mai necessaria come oggi, si scivoli clamorosamente fuoripista
Mauro Spignesi
29.10.2023 06:00

Quando monta la rabbia, quando l’odio prevarica la ragione, può succedere che invece di invocare la pace, una pace sacrosanta e mai necessaria come oggi, si scivoli clamorosamente fuoripista.

Come è accaduto in questi giorni, quando nelle manifestazioni organizzate per invocare il cessate il fuoco dopo un bagno di sangue, con le stragi in Israele del 7 ottobre con 1.400 civili morti e 270 ostaggi catturati da Hamas e la controffensiva nella Striscia di Gaza con più di 7.500 civili palestinesi uccisi, manifestazioni assolutamente legittime anzi necessarie, nessuno si sia distanziato ufficialmente da striscioni e cartelli che poco hanno a che vedere con la verità storica.

È successo purtroppo anche a Bellinzona ieri, con un cartello dove Israele, il simbolo di Israele, è stato accostato alla croce nazista. Un messaggio - non l’unico discutibile, purtroppo - di quelli pericolosamente semplicistici che dicono che Israele è uguale a Benjamin Netanyahu e, dall’altra parte, che la Palestina è uguale ad Hamas. Messaggi di questo tipo non solo non fanno bene alla pace ma anzi gettano benzina sul fuoco. Ora, proprio ieri è emerso durante un sondaggio effettuato tra il 28 settembre e l’8 ottobre da un istituto di ricerca (Arab Barometer) che a Gaza il 44 per cento degli abitanti non ha alcuna fiducia in Hamas e che il 23 per cento ne ha davvero poca. Solo il 29 per cento sostiene Hamas. Dunque, dire che i palestinesi sono con Hamas, stando al sondaggio ma non solo, è un grave errore. E anche chi critica il fatto che pochi intellettuali palestinesi hanno alzato la voce contro chi ha macellato bambini, ragazzi e intere famiglie il 7 ottobre scatenando una sanguinosa rappresaglia, dovrebbe ricordare che in un momento come questo la paura d’essere uccisi e di vendette trasversali spegne la protesta.

Chi critica rischia la vita ma questo non vuol dire che non ci sia chi critica o è contrario ad Hamas, organizzazione - non dimentichiamolo - che da molte istituzioni e governi è considerata terrorista. Dall’altra parte, nessuno può dire oggi che Israele è Netanyahu. La fiducia nel suo governo è crollata come mai negli ultimi vent’anni e secondo un sondaggio dell’Israel Democracy Institute, appena «il 20,5% degli ebrei israeliani e il 7,5% degli arabi israeliani» dicono di sostenerlo. E in questo caso, a differenza di quanto accade in Palestina, visto che in Israele si può ancora dissentire, tante voci si sono alzate per condannare la politica del primo ministro. Molti, dopo l’attacco di Hamas che ha dato respiro a un Netanyahu in crisi e alle prese con le proteste contro la riforma della giustizia, hanno detto chiaramente che dopo questo periodo di guerra il capo del governo deve andare via. E anzi lo hanno indicato come il responsabile politico di quanto accade. Poi la lista di nomi e responsabilità di quanto successo è lunghissima, e forse vale la pena interrogarsi come mai la comunità internazionale – in prima fila l’Onu prigioniera dei veti incrociati - non ha fatto rispettare il principio di «due stati, due popoli», ha sopportato l’inferno nella striscia di Gaza, dove in 360 km² di superficie vivono oltre due milioni di abitanti.

Detto questo, accostare i nazisti a Israele, come è avvenuto a Bellinzona, quando proprio i nazisti hanno firmato l’Olocausto, hanno sterminato sei milioni di ebrei, hanno dato vita a una delle leggi più vili e vergognose della storia del Novecento come quella razzista e antisemita, è davvero incredibile. Come è incredibile in un momento in cui tutti dovrebbero marciare verso la pace non prendere le distanze da messaggi simili. Perché alla fine se si lascia spazio agli estremisti, a una guerra di religione, si coltivano campagne d’odio in un mondo che è già una polveriera.

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