Viaggi

All'inseguimento dell'orso polare

Polo Nord o Polo Sud? Artico o Antartico? È una scelta che ricorre spesso tra gli amanti di viaggi
Giò Rezzonico
24.07.2022 15:30

Polo Nord o Polo Sud? Artico o Antartico? È una scelta che ricorre spesso tra gli amanti di viaggi. Diciamo che fare paragoni tra le destinazioni non è mai corretto: vale la pena di visitare i due poli della terra, ma meglio iniziare da quello più settentrionale. D’altra parte sono molto diversi tra loro. L’Artide è un deserto di ghiaccio circondato dalle masse continentali dell’Eurasia e dell’America, mentre l’Antartide è un vero e proprio continente circondato dal Pacifico, dall’Atlantico e dall’Oceano Indiano.

A nord dell’arcipelago artico delle isole Svalbard, oltre l’80mo parallelo, si inizia a navigare tra piattaforme di ghiaccio. All’inizio sono sparse, poi si infittiscono sempre più fino a diventare, in prossimità della banchisa, un’uniforme distesa bianca. Con un po’ di fortuna si può scendere dalla nave per camminare su quel deserto gelato, con la consapevolezza che il Polo Nord dista meno di 1’000 chilometri. Questo territorio dove regna il silenzio più assoluto è l’habitat ideale del protagonista di qualsiasi viaggio nell’Artico: l’orso polare, perennemente a caccia di foche. Ed è lui il responsabile di una delle principali differenze tra i due poli: quella cioè di un sud popolatissimo di animali (soprattutto pinguini e foche di ogni specie), che si lasciano avvicinare dall’uomo; mentre al nord foche, trichechi, renne e volpi, terrorizzati dal timore di finire sotto gli artigli degli orsi, sono diffidenti e si mostrano poco. Nonostante ciò, durante il nostro viaggio-spedizione attorno all’arcipelago delle Svalbard ne abbiamo incontrati parecchi, così come abbiamo ammirato alcuni branchi di belughe e di narvali (cetacei dal caratteristico dente, che raggiunge fino 2 metri di lunghezza su un corpo di 6, la cui forma simile a una vite ha dato origine al mitico unicorno).

Ma bisogna riconoscere che l’incedere dell’orso - ne abbiamo seguito uno per quasi un’ora a bordo dei gommoni mentre avanzava lentamente lungo la costa - è maestoso e affascinante.

I confini dell’Artico

Non tutti sono d’accordo su come delimitare l’Artico. Gli specialisti delle varie discipline si sbizzarriscono in definizioni differenti, ma l’interpretazione più ricorrente è quella geoastronomica, secondo la quale fanno parte del Circolo Polare Artico quei territori in cui almeno un giorno all’anno il sole non tramonta mai. Avvicinandosi poi all’estremità nord della terra, durante i mesi le giornate si fanno sempre più lunghe e le notti più brevi. Al Polo per 6 mesi (per la precisione 190 giorni) è sempre chiaro e per altrettanti sei (per la precisione 175 giorni) è sempre buio.

La conquista del Polo Nord

Furono i Greci i primi a identificare il Circolo Polare Artico e quindi a dare un nome a questa remota zona del pianeta. Ma la corsa alla scoperta delle terre più a nord del globo si fece sempre più serrata a partire dalla metà del XVI secolo, alimentata da sovrani che coltivavano il sogno di raggiungere la Cina attraverso la rotta nord, percorrendo cioè due itinerari alternativi: il passaggio a Nord-Ovest costeggiando l’America e la Groenlandia e quello a Nord-Est al largo della Siberia. La storia di queste spedizioni rivela quanto sia estremo il territorio dell’Artide, che spesso non lasciava scampo: i vascelli di molti, troppi, esploratori rimasero imprigionati e schiacciati dalla forza del ghiaccio e non fecero mai ritorno.

Ad arrivare per primo al Polo Nord fu il norvegese Roald Amundsen (1872-1928), forse il più grande esploratore di tutti i tempi. Nel corso della sua esistenza riuscì a percorrere il passaggio di Nord-Ovest (1905), raggiunse per primo l’Antartico (1911) concentrandosi in seguito sul Polo Nord, che conquistò nel 1926 a bordo del «Norge». Il dirigibile, pilotato dal colonnello italiano Umberto Nobile, suo ideatore, partì dalla Baia del Re nelle isole Svalbard. Nella località di Ny-Alesund, che attualmente ospita una stazione di ricerca, si può ancora vedere il palo a cui venne issato il cavo del dirigibile prima della partenza. Per ragioni di spazio non possiamo dilungarci sull’appassionante storia della vita di Amundsen, che si concluse nel tentativo di andare a salvare Nobile, il quale per motivi nazionalistici (in Italia regnava il fascismo) si avventurò in una nuova impresa al Polo Nord per la quale non era preparato. Per finire, Nobile riuscì a trarsi in salvo, anche se poco onorevolmente, mentre l’aereo del suo soccorritore, decollato dalla Norvegia, scomparve tristemente nel vuoto.

Lo scioglimento dei ghiacci

Non si può parlare dell’Artide senza soffermarsi sulle conseguenze provocate dal surriscaldamento climatico. Conseguenze gravi non solo per questa delicata regione, ma con ripercussioni su tutto il pianeta. Le principali riguardano lo scioglimento dei ghiacci. A questo punto è però necessario fare una distinzione tra lo scioglimento dei ghiacciai - e quindi degli iceberg, che non sono altro che parti di ghiacciai staccatisi dal corpo principale - e quello delle piattaforme create dalla banchisa. I primi sono infatti costituiti da precipitazioni nevose (quindi acqua dolce) trasformatesi in seguito in ghiaccio, mentre le seconde sono formate da acqua marina gelata. I ghiacciai, e di conseguenza gli iceberg, sciogliendosi provocano quindi un innalzamento del livello dei mari, mentre la banchisa no. Se si pensa che in una zona relativamente piccola dell’Artico come l’arcipelago delle isole Svalbard (che si estendono pur sempre su una superficie pari a una volta e mezzo la Svizzera), il 60 per cento del territorio è ricoperto dalla coltre bianca di oltre 2600 ghiacciai, si può ben capire come questi scioglimenti possano provocare importanti innalzamenti del livello dei mari. Un fenomeno che nel corso dei prossimi decenni rischierà di sommergere anche importanti insediamenti costieri sulle rive dei nostri mari.

I ghiacci della banchisa hanno invece una funzione di regolazione del clima. Questa enorme massa bianca ha infatti la proprietà di respingere tra il 50 e il 70 per cento dell’energia solare (si sa che il bianco riflette i raggi del sole), mentre una volta tornata ad essere acqua marina non ne rifrange che il 6 per cento. Risulta quindi evidente come la scomparsa di questo deserto bianco contribuisce a creare un ulteriore innalzamento della temperatura del pianeta, provocando altresì mutamenti nelle correnti marine con innumerevoli conseguenze sugli abitanti dei mari e della terra.

Nuove rotte, nuove tensioni

Ma non tutti i mali vengono per nuocere: con lo scioglimento dei ghiacci artici si aprono infatti nuove rotte marine. Per secoli l’uomo ha cercato di individuare a nord la scorciatoia per l’Asia, che si è però sempre dimostrata impraticabile a causa del gelo. Il Passaggio a nord-ovest (cioè quello che costeggia l’America) è forse stato quello più affrontato nel corso della storia. Oggi, nei periodi estivi è percorribile, ma risulta poco adatto alla navigazione commerciale, in quanto - come scrive Marzio G. Mian nel suo libro «Artico» edito da Neri Pozza - «i tratti tra le trentaseimila isole canadesi sono troppo stretti e le acque sono troppo basse». L’autore osserva anche come la cosiddetta Northern Sea Route, cioè il passaggio a nord-est lungo le coste artiche russe, sia in parte percorribile, ma non facilmente praticabile a causa dei dazi e della burocrazia imposti dalla Russia (che si inaspriranno certamente in futuro a causa dell’attuale situazione politica). Gli esperti ritengono che l’ulteriore scioglimento dei ghiacci renderà praticabile a breve la cosiddetta rotta transpolare, che prevede la navigazione in acque internazionali solcando i profondi mari del Polo Nord. Questo passaggio diretto permetterà di evitare non solo le noie burocratiche, ma accorcerà ulteriormente il tragitto via mare fra l’Europa e l’Asia. Se infatti una nave oggi per dirigersi da Rotterdam al porto giapponese di Yokohama transitando per il Canale di Suez deve coprire un percorso di 11’250 miglia nautiche, domani seguendo la rotta transpolare ne dovrà percorrere solo 4’500 (cfr op. cit. pag 152). Quasi 3 mila in meno anche rispetto alla Northern Sea Route (7’350).

Ma anche questa medaglia ha il suo rovescio. Liberandosi dai ghiacci il mare artico diventerà sempre più appetibile alle potenze mondiali, sia per i suoi fondali ricchi di materie prime, sia per le rotte nautiche che potrebbero diventare molto trafficate. Tutto questo rischierà di creare nuovi conflitti di interessi e nuove tensioni internazionali, nonostante esistano già trattati (Polar Code e Artic Council) non vincolanti che dovrebbero regolare le attività artiche.

Per coloro che sono attratti dal fascino dell’estremo nord una delle mete artiche più interessanti, da dove partirono innumerevoli spedizioni alla conquista del Polo, è rappresentata dalle isole Svalbard, al largo delle quali inizia la banchisa. Ve ne parlerò domenica prossima. (1/continua)