Anche i ricchi scappano

Lugano-St. Moritz due giri di Rolex, direbbero i fratelli Vanzina. Due ore e 27 minuti per la precisione, passando da Porlezza e Chiavenna. E i contribuenti ticinesi più tartassati ci passano volentieri, allungano anche per il San Bernardino (10 minuti in più, ma si evita la dogana italiana) pur di sfuggire all’aliquota cantonale massima. Quella del 15.076 per cento, anche detta «scaccia-ricchi» perché è tra le più alte della Svizzera. E uno dei motivi - forse il principale - per cui negli ultimi tre anni ben 115 super-contribuenti si sono trasferiti dal Ticino senza più tornare. Destinazione: soprattutto l’Italia e il resto della Confederazione. Grigioni in testa.
Il richiamo dell’Engadina
La via del San Bernardino verso tassazioni più basse (un prelievo fiscale massimo inferiore del 20 per cento) è stata percorsa ad esempio da dieci ticinesi facoltosi dal 2020 a oggi, secondo dati forniti a La Domenica dalla Divisione delle contribuzioni. Si sono trasferiti con armi, bagagli e capitali: una sostanza superiore ai 5 milioni ciascuno e/o un reddito annuo sopra i 500 mila franchi. A questi si aggiunge un numero imprecisato di redditi più bassi, ma comunque di tutto rispetto, ugualmente sensibili alla leva fiscale. Solo a St. Moritz dal 2018 si sono trasferiti 114 (ex) contribuenti ticinesi: la cancelleria comunale non fornisce indicazioni su redditi e professioni, ma con un moltiplicatore d’imposta del 50 per cento la «perla dell’Engadina» è una delle mete più gettonate dagli esuli fiscali in generale.
«Richiesta in aumento»
Che l’interesse a trasferirsi fuori cantone sia maggiore «in particolare tra professionisti con redditi alti» è una realtà «innegabile» per la Camera di Commercio ticinese, che non dispone di statistiche ma ha ricevuto diverse segnalazioni di spostamenti (effettuati o ventilati) da parte di fiscalisti e imprese affiliate. «L’impressione è di un fenomeno crescente e riguarda più che altro le persone fisiche, non quelle giuridiche» conferma il direttore della Cc-ti Luca Albertoni. «Spesso non si può nemmeno parlare di trasferimento, ma di mancati arrivi. Il caso tipico è quello di un’azienda presente in Ticino, il cui management magari straniero sceglie un altro cantone di residenza per risparmiare sulle imposte». Le partenze effettive sono in media 30-40 l’anno. E vengono seguite dagli Uffici di tassazione con «verifiche accresciute» spiega il direttore della Divisione Giordano Macchi. Il trasloco deve essere effettivo e non di facciata: «A volte ne nascono dispute che di norma non si risolvono rapidamente. Il contenzioso può essere doppio, con il contribuente e con la giurisdizione di nuovo domicilio, e finire anche in tribunale».
E a contendere al Ticino i preziosi contribuenti non sono lontani paradisi fiscali. Entro i famosi due giri d’orologio (Rolex) le località attrattive non mancano, anche senza uscire dai confini nazionali. «C’è una richiesta crescente da parte di clienti che valutano destinazioni vicine, magari in cantoni limitrofi» spiega l’avvocato Simona Genini, fiscalista a Lugano. «Non si tratta di multi-milionari ma di una fetta più ampia di contribuenti tassati sullo stipendio, che non possono abbassarsi le imposte rinunciando ai dividendi o in altro modo. Devono pagare, e basta. Oppure trasferirsi».
Da seconda a prima casa
Manager, medici, dentisti, salariati di lusso con buste paga a cinque zeri. Chi ha già una casa di vacanze è tentato di spostarvi la residenza, approfittando magari della possibilità del telelavoro. Non a caso proprio St. Moritz e l’Engadina «ma anche altre località turistiche storicamente predilette dai ticinesi, come Andermatt» sarebbero in cima alle richieste di «relocation» spiega Genini.
Chi la seconda casa non ce l’ha, invece, può sempre comprare la prima oppure affittarla. Anche qui la domanda cresce. Ne sanno qualcosa le agenzie immobiliari, che hanno visto un «aumento deciso della richiesta di prime case negli ultimi anni in particolare dopo la crisi pandemica» spiega l’architetto Federico Parli, nato a Lugano e titolare dell’onomino studio a due passi dal lago di St. Moritz, specializzato in residenze di lusso. La clientela dalla Svizzera italiana «è ancora minoritaria rispetto al resto del Paese, ma cresce» ed è variegata. Oltre ai pensionati anche coppie con figli e professionisti di ogni età e settore, «dal digitale alle costruzioni».
All’estero «tirano» Monaco e Italia
Il richiamo dell’Engadina è diventato più forte dopo la pandemia, «non solo per ragioni fiscali ma anche climatiche, paesaggistiche» ed è rispecchiato dall’aumento delle quotazioni immobiliari, osserva Parli. Ma in anni dominati dal COVID i super-ricchi ticinesi hanno scelto anche altre vie di fuga. La maggior parte si sono diretti verso sud, alla dogana di Chiasso: sono 36 i maxi-contribuenti trasferitisi in Italia tra il 2020 e il 2023, il 31 per cento del totale, sempre secondo i dati del DFE. Superano quelli scappati in altri Cantoni (28) e il fatto non deve troppo stupire secondo Genini. Oltre ai legami socio-culturali, a pesare «è sicuramente la politica fiscale adottata nella vicina Penisola per favorire l’arrivo di persone facoltose» spiega la fiscalista, e cita in particolare la flat tax di 100 mila euro per i redditi esteri introdotta nel 2017 dall’Italia. «I contribuenti sono più che mai sensibili a questi vantaggi».
Dai dati della Divisione delle Contribuzioni, però, emerge anche l’altro lato della medaglia. In dieci anni - dal 2009 al 2019 - il numero di «pentamilioniari» residenti in Ticino è più che raddoppiato, da 837 a 2.136 unità. Un aumento spiegabile in buona parte con la levitazione delle borse. Ma anche con l’imposizione forfettaria, l’abbassamento delle aliquote sulla sostanza e - perché no - il clima mite. Tra le palme del fisco ticinese, evidentemente, così male non si sta.